lunedì 20 settembre 2010

A te

TANTI AUGURI DI NON COMPLEANNO

domenica 19 settembre 2010

Oltre barbie


E' adesso. Un punto di fiamma da candela basta a rischiarare il muro grigio dove tengo appoggiate le gambe, all'aria. Perchè non so. E' come se nella mia testa ci fosse un ammasso di tulle bianco, arrotolato in cento pieghe, un peplo infinito che mi cade addosso. Non c'è altro. Sì, un ticchettio. Le scarpe slacciate, le mie belle scarpe nere col cinturino alto, invece le sento bene. E' la stessa sensazione di quanto si sta con le mutande abbassate a mezza coscia. UN PARADISO.
Come mi piace questa poca poca fiamma dal mozzicone di una candela.. Le gambe le tengo come lancette d'orologio sull'una e venti. Non mi fa venire in mente nulla. Al posto della testa sento come un lago, nuvole e acquetta stanca, tipo acqua d'ofelia. Silenzio rotto dal ticchettio, che sembra più uno zampettio. Presenze mi consolano in questo scantinato, ma vorrei sapere cosa sono, e anche io, chi sono.
Una ballerina in pausa ? o una sposa pentita ? Giù a precipizio da una sala prove o da una chiesa, nel sotterraneo. Dicono sia simbolico. Senza muovermi, in una finta corsa di una finta fuga. Forse morta. Il cuore che ho batte ? Non sento un battito, solo un tic tic. Il mio cuore ha sottili zampette, sottili antenne, spessa corazza nera e lucida, e va su e giù. Zampe-ventricoli.
Con le gambe a compasso, il tulle bianco, il muro che mi sorregge, sono innaturale, tipo morta. Li vedo, sul vestito, sono scarafaggi, fermi, lucidi, affondano, scricchiolano. Mi accompagnano, loro, invece di uno sposo con la faccia sprofondata nella gonna.
La luce della candela mi ricorda quando giocavo alle torture con la barbie, che con i vestiti a brandelli facevo vagare in una landa desolata e fredda, tra gli stenti e la fame. E' cominciata allora questa storia del tulle bianco e della cantina, con gli amici insetti. Il piacere è il supremo privato, ed io soltanto così posso sentirmi.
(vedi foto)

giovedì 2 settembre 2010

Hallux

Ai piedi del letto il mostro continuava a ripetere la stessa cosa.
Il suo disturbo si limitava a questo: comparire nel bel mezzo della notte, prendere posto in modo impacciato sul mio alluce destro e, dopo avermi svegliata, ripetere sempre la stessa cosa.
Una cosa che al mattino non ricordavo più.
Una cosa che non ho ancora capito.
[...]
Ma una notte il mostro non tornò.
Nulla schiacciava più il mio alluce, nulla mi svegliava più. Le ore oscure passavano senza pesare. Mi svegliavo più bella, sorridevo di più.
Tuttavia cominciai a provare una malinconia struggente, una nostalgia irrisolvibile verso quella frase sentita mille volte che non mi era concesso ricordare.
Cominciai a credere che se il mostro fosse tornato un'ultima volta avrei finalmente capito.
Fu così che mi ritrovai ad aspettarlo.