lunedì 31 gennaio 2011

Storia dell'alto e del basso










Stavo parlando con la segretaria quella mattina. I problemi sono tanti e quotidiani, ed avere qualcuno con cui parlarne è sempre utile. Mi ha mostrato il nuovo sistema di entrata e uscita  che il suo ufficio ha provveduto ad installare. Un portello basculante 20x20 in alluminio, posto a quattro centimetri da terra. Ha fatto una prova davanti a me,  appoggiandosi al bordo con le mani, si è tirata su e spingendo con la testa,  è passata dall'altra parte, dove sta  la sua stanza di  lavoro.  Poi è ritornata fuori in corridoio, con la stessa facilità. E' molto agile perchè ha solo 16 centimetri, dai piedi fino alla cima della testa. Io ne ho 20, e mi muovo più lentamente. Avendo l'attaccatura delle mani proprio alle orecchie, è avvantaggiata rispetto a me che le ho più basse. Per noi senza corpo i capelli non sono  una questione di poco conto. I suoi sono di un bel color rame intenso, scalati e folti,  ma un po' toccano il pavimento. Io invece li tengo a caschetto, sempre ben tagliati per non tirare su la polvere. La messa in piega li gonfia,  producendo un effetto vela, e quando cammino non sono spedita.
Noi senza corpo siamo ricercati dalle ditte e dagli uffici perchè siamo pensiero e azione. L'azienda deve apportare alcune ovvie modiche, come la scrivania o il telefono o l'attaccapanni, ma il tutto è disponibile nei negozi di giocattoli. Ci deve essere una porta apposta per noi,  con lo stesso sistema per far uscire ed entrare i gatti da casa,  non costa neanche tanto. Non c'è bisogno d'altro, nè macchinetta per il caffè, nè servizi igienici, nè sedie. Per il  nostro sostentamento basta acqua zuccherata all' 1.5%. Stavamo appunto chiedendoci  io e la segretaria se prendere una tazzina d'acqua insieme, quando è successo.
Se la giornata è interrotta da un evento imprevisto, è molto serio. Nella nostra condizione siamo sensibili agli eventi improvvisi. Il giorno è come la trama di un tessuto dove i fili si intrecciano ordinati, e se interviene qualcosa di traumatico, i fili si spezzano e qualcuno di essi vaga nel vuoto. Il nostro equilibrio ne resta toccato. Non avendo corpo, non siamo in grado di controbilanciare i traumi con la massa. Essere pensiero e azione significa non avere le interferenze  tipiche somatiche, e questo ci rende molto apprezzati.  E' una condizione privilegiata, ma ha i suoi aspetti negativi.
Quando all'improvviso è arrivata di corsa quella donna, e trafelata ci ha detto di chiamare un'ambulanza perchè una ragazza era caduta dal tetto, è stato un colpo.
La segretaria si è infilata subito dal portello basculante per andare a telefonare e chiedere i soccorsi, mentre io ho scambiato due parole con la donna.  E' difficile parlare con qualcuno guardando in basso il pavimento, lo so. Al contrario io non ho problemi,   guardo sempre negli occhi la persona con cui parlo, e questo tranquillizza molto.
Ho chiesto alla donna di raccontarmi l'accaduto. Aveva visto una ragazza camminare sul tetto di coppi,  con degli scarponi assolutamente inadatti, molto grossi e piatti. Ad un tratto era scivolata sulle tegole, non era riuscita ad aggrapparsi al cornicione,  ed  era andata giù. Siamo rimaste ad aspettare l'arrivo dell'ambulanza, perchè non c'era altro da fare. La segretaria ci ha raggiunto  passando svelta attraverso il portello basculante ed è rimasta a guardarci inquieta da dietro i suoi grandi occhiali con la montatura verde scuro.
Mentre si aspettava in silenzio, mi domandavo perchè andare a passeggiare sul tetto con un corpo e scarpe inadatte. Quelli che hanno corpo tendono a salire e a fare cose incongruenti,  l'ho già notato. A loro piace l'alto, il panorama, il sovrastare. Penso sia una conseguenza dell'avere una massa tra la testa e i piedi. Noi che ne siamo privi, non abbiamo mai il pensiero di salire. Loro invece sono portati per le cose contraddittorie.  Sto raccogliendo delle prove in tal senso,  mi piace studiare i normali. Ho domandato anche a quella donna se le piaceva l' alto. Naturalmente sì,  abitava al sesto e ultimo piano. 
All'improvviso ho visto la trama e l'ordito di quello che era accaduto. C'era un disegno, come in un tappeto, ma nascosto tra fatti apparentemente slegati. Avevo bisogno di fare due domande alla donna.
Aveva forse visto qualcosa di artistico la sera prima? Sì, rispose, in un gelido teatrino off off. Aveva cenato dopo, molto tardi,   in un posto alto, tipo soffitta o mansarda? Sì, mi disse sgranando gli occhi in basso verso di me.   Ma come avevo indovinato?  L'alto e la sua fenomenologia è il mio campo di ricerca. Ho una mia teoria.

mercoledì 26 gennaio 2011

Giulietta e Romeo


Prima di entrare conta sempre fino a tre e prende un respiro profondo, non può prevedere cosa troverà oltre la porta e quanto tempo impiegherà prima di chiudersela alle spalle uscendo. Sa soltanto che dovrà sforzare un po' la voce per far sentire bene il suo saluto a tutti i presenti e che dovrà tenere la schiena dritta e la guardia alzata.
Lo stanzone mal arredato e male illuminato funge da centro di coordinamento delle attività dell'area, al suo interno un fax, una fotocopiatrice malconcia, una macchina da scrivere e una decina di uomini.
Come sempre si girano a guardarla, chi più chi meno insistentemente, e dopo un breve silenzio minaccioso riprendono a sbraitare le loro trivialità.
Tutti meno uno.
Dimostra molti anni più di suo padre...ed...è...il...sovrano...indiscusso di quell' ufficio obsoleto.
Non appena la vede le si fa incontro, supera abbondantemente la distanza di cortesia e stringendole un braccio con quel tocco rigido e tremulo insieme che hanno le mani dei vecchi senza nemmeno salutarla esclama stentoreo: "Sii la mia Giulietta, sarò il tuo Romeo!"
Silenzio. Occhi puntati. Vediamo un po' che gli risponde la pollastra.
Ma la pollastra, che poi sarei io, non sa veramente cosa rispondere a un'assurdità del genere piovuta dal nulla con una certa prepotenza.
E' talmente vicino che sento il suo odore invadente di carne stantia.
Distolgo lo sguardo, in un angolo il calendario omaggio di un' azienda di prodotti plastici, seminascosto da una giacca, lascia intravvedere la drastica scelta depilatoria di una ninfetta rozza e mal truccata.
Sono in imbarazzo. Faccio l'errore di arrossire.
Il vecchio se ne accorge: "Guardatela, arrossisce! O Giulietta, ti prego, cala la tua treccia e fammi salire!"
La mano rugosa mi tira piano i capelli, gli uomini ridono, la pollastra tace.
Ecco cosa ha fatto partire il filmino nella tua testa. Cambierò pettinatura. Peccato che approssimazione e senescenza ti facciano confondere Giulietta con Raperonzolo...
Riesco a sottrarmi e a sferrargli un' occhiataccia prima di farmi strada verso il fax.
"Uh! Ma come siamo suscettibili! Mica ho fatto nulla di male..."
Già, nulla di male, perchè mi arrabbio tanto? E' solo il gioco innocente del gatto col topo (mica si può andare contro natura), é solo un anziano un po' viscido che elargisce complimenti raffazzonati e vicinanze non richieste per sentirsi ancora prestante di fronte alla platea dei buzzurri sottoposti. E' solo che il ripetersi di questa scena ad ogni mio ingresso da quella porta ha fatto sì che oggi, anche nella mia testa, partisse un filmino in cui ti riduco al silenzio stringendo forte una treccia attorno al tuo collo raggrinzito, brutto vecchiaccio.
Ecco perchè mi arrabbio tanto.

venerdì 21 gennaio 2011

Storia più corta di un sms

Sono un sms fallito. Ho freddo, sono stanco, non ho dormito. Aspetto il magistrato. Un errore grave, l'articolo 4, tradimento del destinatario. Non so come, sono andato dalla signorina Pamela anzichè dalla signorina Silvia Carsetti.  Sono incappato in una geometria tra il punto X,  da dove sono partito alle undici e mezza di sera,  e le due signorine S e P. Una volta mi sono perso, ho scontato un mese nel deposito Z. Non è questo  il caso. Spero nelle attenuanti,  l'ora tarda e il sovraccarico notturno. Sono inquieto, non ho fatto nulla, ma sono preoccupato. Vorrei  una cosa breve. 
Quanto mi sento innocente ?  Non so dirlo. A volte mi piace deviare, un poco. Voltarmi, per guardare. Roba bionda, castana,  morbida, elegante, anche non bella. Comunque, dopo torno diritto, e arrivo dal destinatario forse due secondi dopo, o tre. Sono abbastanza affidabile. Mi stanca pensare. Mi dispiace.  

giovedì 20 gennaio 2011

Strudel Imperiale




La differenza tra uno strudel comune e quello che vi proponiamo sta nella stoffa. Dovete considerare l'involucro del dolce come una pelle che dovrà essere fine e morbida come quella di una principessa. E siccome ciò che distingue una sguattera da una principessa è il tempo, dovete dedicare alla lavorazione la giusta lentezza nel miscelare gli ingredienti per la pasta.

Poco alla volta, setacciando prima la farina, aggiungere con finta indifferenza cucchiai tre d'acqua tiepida e due di olio d'oliva (alternati), nella fontana che avrete predisposto. Con una forchetta amalgamate girin girello chiara di un uovo e pizzico di sale, affossando un po' il centro della fontana con timidi sbaffi di farina, ma poco tipo melmetta. Fate un giro più larghetto fino a far un impasto più densetto, e di botto coprite con ciò che resta della farina, lavorando a palla rapidi.

In una pentola fate bollire dell'acqua, buttatela, asciugate l'interno della pignatta, ed adagiatevi in riposo la palla di pasta, con un tappetino di carta forno, coprite, mezz'ora di sauna.
Bagnetto in ciotola e acqua calda per l'uvetta. 

Finita la sauna, la palla di pasta va stesa con mattarello su strofinaccio (pulito) infarinato. Fino al trasparente. Se è difficile da tirare, avete sbagliato.

Incremate di burro sciolto la pasta stesa con pennello da cucina, generosamente. Segue il ripieno di mele, cannella, pinoli, uvetta sciacquata, messo a cumulo allungato, liberi i bordi. Aiutandovi con lo strofinaccio, fate rotolo, chiudete estremità, tagliate se avanzano membrane vuote. In casseruola da forno in acciaio inossidabile imburrata, va rotolo di nuovo dipinto di burro sciolto, riccamente.

In forno preriscaldato a 190° 40 minuti. E' senza zucchero aggiunto, a salvaguardia della vostra glicemia. Gli irriducibili facciano piovere da un passino dello zucchero a velo sopra.

Tiepido, o il giorno dopo. Servito à la princesse con panna semi-montata. W l'impero!

mercoledì 19 gennaio 2011

Haiku grigio



sì sono mogia
ma come avevo già detto
me la bevo tutta la mogiezza
come una crema all'uovo
alcolica

Serial Kitchen - Episode 1 - Topinambùr



A questo punto toglietelo dalla plastica.
Sarà sodo, marroncino-violaceo, senza ammaccature o lesioni. 
I migliori sono quelli allungati, rosati e lisci.
Lavatelo e spazzolatelo con cura per eliminare le impurità poi raschiatelo fino a spellarlo.
Depezzatelo. 
Fate attenzione perchè è un po' viscido e può sfuggire di mano.
Buttateci sopra del sale e poco olio.
Il fuoco e un abile lavoro di polso riusciranno ad ammorbidirlo.
L'intera operazione può prendere dai trenta ai sessanta minuti, molto dipende dalla vostra abilità col coltello e dalla vivacità della fiamma che avete scelto di usare.


Bon appétit !







topinambur colTopinambùr* : è un tubero commestibile, dalla polpa carnosa e biancastra e dal sapore delicato e dolce, simile al carciofo, e vicino al gusto e alla consistenza della patata.
Fu introdotto in Italia nel secolo XVII. La sua origine non è ancora certa anche se prevale la tesi che sia originario delle praterie occidentali del Nord America dove cresce spontaneo.
Il suo nome deriva dal nome di una tribù del Brasile, paese da cui si pensava erroneamente che provenisse.
Le poche calorie e la quantità di fibre solubili lo rendono adatto all'alimentazione di convalescenti, anziani e bambini, oltre che di diabetici.


martedì 18 gennaio 2011

Storia corta di un sms



Aspettava nell'ufficio del magistrato, lo sguardo stanco e lento.
Era incappato nel peggiore dei reati che un sms potesse commettere. Un affare serio aver tradito  il destinatario di un messaggio.  Nella storia della giurisprudenza soltanto il giudice G. aveva tentato un' interpretazione più mite del tradimento, ma il clamore delle proteste lo aveva costretto a lasciare  l'incarico.
Non sapeva come fosse accaduto. Il messaggio destinato alla signorina Silvia C. lo aveva portato alla signorina Pamela L. Forse si era assopito, vista l'ora tarda, o pensieri cupi  l'avevano gravato.
Vane giustificazioni. Nessuno poteva dire di essere del tutto innocente. Sperava di difendersi, tuttavia. 
La porta si aprì ed entrò il magistrato, si sedette,  lo guardò  e chiese:
"In che percentuale si ritiene  innocente ? 50% 70% o 100%?"
"70%" rispose, ma si pentì di aver parlato. 
"Vada avanti, spieghi." disse il magistrato.
Rimase in silenzio. Qualcosa aveva fatto, ma non era niente.  Per strada, si girava. Come voltare le carte su un tavolo da gioco,  le silouette di spalle,  per vedere il davanti. Curiosità, nient'altro. Dopo tornava diritto, perdeva al massimo due o tre secondi. Per il resto, era affidabile. A parte quell'altra volta, d'estate,  ma non contava. Era vacanza,  qualche sguardo in più. Poi tornava diritto. Almeno nel breve periodo.
Era stanco. Si rannicchiò sulla sedia. Il magistrato uscì e richiuse la porta.

storia più corta

La Taverna

XII casa, Venere in Toro, Luna e Saturno in Gemelli
Rosa rossa tra i denti e sguardo penetrante, Karmen si muoveva con eleganza sinuosa e scontrosa tra i tavoli della caverna, pardon, della taverna. Non aveva voglia di parlare. I suoi piedi toccavano appena terra, scivolava sul pavimento come portata da un vento che la sosteneva in ogni sua curva. Gli occhi scuri come onici si perdevano inquieti oltre le pareti di pietra e tu venivi risucchiato da un buio assoluto, da una pace lontana, dal vuoto profondo che si sprigionava in questi pozzi incorniciati da folte sopracciglia nere. Sembrava che neanche la luce vi entrasse, che fossero ciechi. Erano uno specchio assoluto, potevano riflettere quel che volevi. I petali rossi si stagliavano sui folti capelli neri, una spina le creava una fossetta sulla guancia appena sopra l'angolo sinistro della bocca, carnosa e impalpabile allo stesso tempo.
La spina spingeva e la faceva rabbrividire di un piacere composito. Un richiamo puntuale, circoscritto e preciso si irradiava poi sui nervi facciali elettrizzandole il cervello, la nuca, il basso ventre. Il respiro rarefatto e profondo le faceva sobbalzare il cuore in petto. Si fermò nella veranda appena sola, non poteva far nulla. Tremò. La rosa cadde a terra e lei, in ginocchio, le mani appese al tavolo e la testa bassa, pregò.
Il tempo eterno interrotto dal rumore dei vetri della porta che si apriva mentre Lui: Ha bisogno? la aprì in una risata cristallina. Si grazie. Si lasciò prendere per le spalle e due braccia robuste la rialzarono in piedi. Mi permette questo ballo? Chiuse gli occhi e sprofondò nel vortice della musica dal vivo che si diffondeva dall'interno del locale.
La Caverna era un locale molto frequentato. Tra gli avventori fissi c'erano musicisti, pittori, artiste ma anche marinai e prostitute, famiglie di basso rango e veggenti, truffatori e filosofi bohemiens.
Quella sera, come tutte le sere, la voce di Selene s'innalzò cristallina e soave. Il suo viso candido conservava la freschezza di una bambina, la sua voce era profonda ma poteva essere terribilmente ironica ed irriverente. Lavorava a tempo parziale come custode di una casa abbandonata in cima ad una scogliera e le sere puntuale si presentava alla Caverna. Nessuno si era mai accorto che fosse zoppa. Il suo corpo era leggero, filiforme ricordava un ideogramma, ma non era gracile, una canna di bambù al vento, si piegava senza spezzarsi. E nelle sue canzone v'era sempre l'eco di luoghi lontani, di spazi immensi, un richiamo dagli inferi all'adorazione della vita, al riso liberatorio e al pianto purificatore. Le piaceva bere ma non esagerava, non poteva tollerare di non reggersi sulle sue gambe o di trovarsi avvinghiata la mattina a esseri di cui non ricordava bene i visi. Adorava le serate di Jam Session, quando ad accompagnarla c'era al piano il vecchio Jim.
Jim era un vecchio marinaio d'altri tempi dagli occhi vivaci, intelligenti, sempre in movimento in un viso forte scavato da solchi profondi. Navigatore impavido degli spazi celesti nei due elementi su cui non si possono poggiare i piedi anche se in una vita di viaggi Jim aveva imparato a trovare solidità e stabilità là dove non c'era niente di comunemente neanche vicino a questi aggettivi. Certo, non era stato facile ma lui alla fine si era divertito come un equilibrista da bambino di fronte alle prime sfide, spavaldo di fronte ai primi sguardi di preoccupazione.Andava fiero delle sue cicatrici e alla Caverna si trovava bene: belle donne non invasive, un pubblico variegato per le sue storie, ragazzini da educare, non era solo la musica a trattenerlo lì, era il clima generale. Si sentiva come una ciliegina sulla torta, il Nonno forse un po' orso ma che tutto vede e tutto risolve.Quando ne aveva voglia si metteva al piano e delle volte cantava, solo o in duo con Selene; le vibrazioni della sua voce bassa e roca ti portavano in viaggio mentre stavi comodamente seduto a berti una birra e quando il viaggio finiva, ti ritrovavi sempre tu sempre lì, solo un po' più saggio.

La Spiaggia




XI casa, Mercurio in Ariete e Sole in Toro
La sabbia bianca, impalpabile, calda faceva da culla al mio corpo totalmente abbandonato a quel piacere immobile. Il sole riscaldava ancora l'atmosfera, l'aria non era rarefatta né pregna di umidità.
Non c'era vento ma si sentivano circolare correnti impercettibili che mi facevano respirare bene e senza sudare. Ero distesa, la mia pelle a pieno contatto con quei minuscoli granelli che sfuggivano tra le dita. Le onde s' infrangevano tranquille con ritmo lento e gorgoglii gioiosi mentre cercavo di vedermi come una tartaruga gigante e lasciavo vagare lo sguardo ora sul confine tra terra e acqua segnato dalla spuma delle onde, ora sulla lontana linea sopra la quale iniziava il cielo.
Il cielo è proprio infinito, pensavo, è lo stesso, proprio lo stesso laggiù e quassù, sopra me ora supina, pancia all'aria che roteo gli occhi. E' senza confini il cielo sopra la terra, non è come quaggiù dove è tutto segmentato da orrendi confini squadrati e cementificati che dividono la stessa terra, la stessa gente, la stessa lingua. In cielo non hanno potuto costruire queste brutture. Certo le hanno immaginate, misurate, calcolate, ma non sono riusciti a dividerlo, non materialmente.
Che buono il sale sulle labbra, lo sento irradiarsi in tutti i miei nervi. L'oro bianco lo chiamavano.
Com'è bella questa spiaggia. Mi piacciono i bambini che giocano in lontananza, la vastità che l'avvicina al cielo, almeno quello da me visibile, e che ti dà la possibilità di avere un po' di privacy sia al sole che all'ombra del palmeto.
Che donna particolare, pensava Ermes, guardando la sagoma accovacciata sulla sabbia. Piegata così sembra una tartaruga. Coma fa a muoversi così poco? Certo gli amici erano tutti lì intorno, ma il mondo è così vasto, vario e vicino specialmente in questi tempi tecnologici. Certo che se non ci fosse lei ad abitare questa lingua di terra, non sarebbe la stessa cosa, non si poteva negarlo. Aveva gusto e tutte modifiche che aveva apportato erano confortevoli: la casa sul limitare del palmeto, le amache, i capanni, le pietre per i fuochi attorno a cui passare le serate. Certo erano tutte idee sue ma lei le aveva realizzate e con gran gusto, certo, meno della metà di quelle che avrebbe fatto lui ma quel che c'era era venuto bene e a ben guardare, forse, aveva scelto di concretizzare proprio le idee giuste. La qualità più che la quantità. A Ermes questo piaceva, anche se non riusciva a smettere di incalzarla. Del resto condividevano la stessa lingua di terra.

Flirt

La maglietta bianca,
Horus tatuato,
i glutei pallidi e
il fungo vanno a dormire.
I ricordi
in fila ordinata
sul trampolino
si buttano giù
nella piscina.
La bocca sogna
e ritorna.
Intanto
i ricordi sono asciutti.

venerdì 14 gennaio 2011

Hennè per tutti



Se ci tenete alla vostra testa e amate il color rame, affidatevi all'hennè. Esso è una sfida. Se avete l'abitudine di osservare il mondo che vi circonda con sguardo libero e aperto, affrontate l'autonomia tintoria integrale. Questo passo sarà una colonna d'ercole per voi, e vi procurerà euforia, incertezza, dubbio. Non fatevi distogliere e passate all'azione senza indugio.
Procuratevi l'attrezzatura. Una scodella non alimentare di plastica, un cucchiaio stanco, un pennello da parrucchiere non morbido. Comprate la polvere d'henné senza picramato, se ci tenete ai vostri capelli, oppure con  se preferite il male.
Il colore può variare dal morbido rame al carmencita fino al marrone amazzonico. Il nero scartatelo se amate le note soffici della vostra figura, oppure usatelo se suonate i tasti con i gomiti.
L'hennè è una sostanza colorante che non conosce confini, ricordatelo. Allontanate il gatto con qualcosa di seducente, indossate vestiti da casa d'infimo ordine, spalmatevi il contorno del viso, collo e orecchie con una crema grassa a vostra scelta (non usare tubetti sospetti), mettete un paio di guanti gialli da cucina nuovi di zecca non felpati, tenete un asciugamano bordò (o al massimo nero, blu, marrone, petrolio) per il finale, stendete carta da cucina sui bordi del lavandino (non del viso).
Rimandate merenda e tè, o anticipateli. Preparate la pappetta tintoria mescolando 4-6 cucchiai di polvere e acqua bollente aggiunta poco alla volta, fino a raggiungere la consistenza della panna da montare (prima di essere montata), fate l'amalgama con il cucchiaio desueto, non con il pennello da parrucchiere sintetico, che si arriccia con il caldo (dell'acqua) ponendo fine all'esperienza.
A questo punto non rispondete più al telefono né al cellulare per due ore. Ora qualche domanda prima che sia troppo tardi:

 Avete scelto la giornata giusta? Siete in buone condizioni fisiche? Avete un balsamo di marca fine ? Avete un ramo della conoscenza da approfondire durante l'impacco?
Se avete risposto sì soltanto a metà delle domande, rinunciate a farvi l'hennè.
E' seccante avere la pappetta pronta, vestiti da sciattoni, viso collo orecchie spalmati di grasso, senza il conforto del micio, con i guanti gialli appena sconfezionati, e dover mollare tutto proprio adesso. Ma se volete procedere ugualmente con l'impacco, infischiandovene dei quesiti irrisolti, sappiate che avete scelto una strada  tenace, ma impervia. Fate pure. Peggio per voi.
(continua)




Italians do it better


"Are you italian?"
Si avvicina tagliando diagonalmente il dancefloor con una camminata plastica accentuata da un leggero rallenty.
"Yes, and you?" digito laconica in attesa.
"I'm from Boston, Massachussetts."
E' alto, abbronzato, tatuato, rasato-trasandato, indossa una canottiera biancocrisiepilettica e dei pantaloni classici in Principe di Galles un po' larghi e stropicciati.
Sembra una via di mezzo tra un mezzofusto televisivo e il membro di una boy band.
"I'm sorry but I really have to ask you one thing I ask to every italian woman i meet...
"La tecnica di accalappiamento sembra perfettamente in linea col personaggio, o almeno credo, in realtà non mi è mai capitato di incontrare nè mezzifusti nè membri di boy band.
Uno dei punti di forza del cyberspazio è proprio il fatto che ti permette di vedere come sarebbero situazioni in cui altrimenti non ti troveresti mai, quindi ripongo dignità e pregiudizi e continuo a flirtare cautamente, eccentrica e scicchissima nel mio kimono post-punk nero.
"Shoot!" rispondo dosando il ritardo in modo da risultare sufficientemente multitasking.
"Well... could you tell me the Recipe of your Tomato Sauce?"
Qui il nostro segna un punto. Mi spiazza completamente spalancando almeno tre diversi scenari:
E' una casalinga disperata con un'invidia del pene irrisolta che sta testando il suo lato maschile (un po' convenzionalotto, diciamocelo) ma non riesce ad entrare nel personaggio fino in fondo.
- E' un seduttore feticista seriale con la fissa dell'Italia, del pomodoro o della cucina in genere (magari alle spagnole chiede la paella) e una volta ottenuto quel che cerca scompare nel nulla per farne un uso improprio in solitudine.
- E' un professionista del chatteggio e piroetta leggiadro in punta di luogo comune, creando abbinamenti inconsueti (tatuaggi-epilessia-pasta al sugo) che in fin dei conti acchiappano.
Se scorro rapidamente le mie abilità di cuoca, la mia femminilità e il mio innato patriottismo capisco che il momento per accaparrarsi la coccarda "donna italiana ottima cuoca" è qui ed ora e non ce ne saranno altri, mai più.
Decido quindi di farmi acchiappare e gli propino la mia versione della salsa di pomodoro, quella che di solito prende vita come uno zombie quando su frigo e dispensa sembra essere calata la maledizione di un'entità diabolica risvegliata da un conflitto termonucleare globale.

.....(A questo punto del post accade lo stesso strano fenomeno che nei vecchi telefilm di spionaggio .....faceva continuare in un italiano funestato da un accento posticcio e da inserti maccheronici una  ....conversazione iniziata in una lingua straniera.)

"Well, devo admittiwi kei non son capacci di fawi la salsa pawtendow dai tomatos fresky... qwindy uso la passata, the creamy one, not pezetony..."
"It's ok"
"First of all I make a soffrittow con un qwartow di piccola cipolla e un cookyayow di extra virgin olive oil..."
"Yes"
"Then I add mezo speekyow di alliow and a pair of atchewghi"
"Wonderful !"
"Then tomato sauce, a pair of olives, oregano, basilico..."
"Mmmmmmmmmmh..."      User is offline

Ecco fatto... sedotta e abbandonata dall'ennesimo playboy-feticista-seriale che non appena ottiene il suo trofeo scompare per sempre...
Per fortuna è fuggito prima che potessi rivelargli l'unico vero segreto della mia salsa splatter: un pizzico di bicarbonato per eliminare l'acidità del pomodoro.



giovedì 13 gennaio 2011

Storia di una freccia



C'era un tempo in cui una freccia non sapeva decidere. Sbandava da un lato e dall'altro, come un motociclista lanciato a fare curve.
Non si sentiva una, aveva la sensazione di essere due, una parte lieve e una pesante, A e B, spirito e materia, che si alternavano come girava di qua o di là. Non era del tutto spiacevole sentirsi due, tante cose erano due, una torta a due strati ad esempio, o una conchiglia a due valve. Solo che nel suo caso, nessuno avrebbe potuto dire cosa fosse in un determinato momento. Neppure lei stessa poteva prevedere cosa mai sarebbe stata alla prossima curva, se puro soffio o pura sostanza. Immersa e protetta da una nuvola di probabilità dove A e B, spirito e carne, erano appoggiati ovunque, ma imprevedibili.
A dir il vero la parola “carne” non le piaceva, perchè suonava come qualcosa di chiuso e aggrovigliato che spandeva succo. Preferiva la parola “soma”, che dava una sensazione di espanso ma zitto. Era spirito e soma, a seconda.
Oscillare era facile, soprattutto negli spazi aperti e senza ostacoli, ad esempio un deserto o una superficie d'acqua, senza onde, dove era perfetto. Ogni giorno si ripresentava identico, con A e B intrecciati, nella pace incoraggiante delle probabilità.
Fino a quel martedì.
La cosa peggiore che potesse capitare era incappare in un osservatore, da qualche parte. Ne bastava uno , e la freccia sarebbe caduta in un unico stato, quello pesante ad esempio, senza ritorno. Succedeva così, non appena qualcuno si accorgeva dei voletti liberi e plurali di una cosa, zac, le infilava uno spillo nella schiena tipo farfalla, per mostrarla trionfante ai collezionisti di cose ferme. Pensare di dover essere solo una, senza l'eco dell'altra cosa, e perdere il paradiso delle giravolte qui e là, era amaro, buio.
Quel martedì un osservatore suonò alla porta dello studio di un artista, all'ultimo piano di un elegante edificio, nel pieno centro di una città che non aveva più confine. Entrò e vide negli acquarelli incorniciati, pronti, appoggiati a terra, una freccia.

 Diritta in un quadro. In più quadri, moltiplicata e adagiata sopra un divano con le zampe nell'acqua, oppure sospesa a mezz'aria, e questo nel migliore dei casi.
Gli altri erano da brivido. Conficcata nella carne. Di un esploratore, di un portiere d'albergo, di un coniglio e altri. Ma non colava fuori nulla di rosso, per fortuna. Negli acquarelli trapassare da parte a parte una figura era secco e silenzioso, un dolore in forma minerale, pulito.
La prima reazione era stata di sconforto. Finite di colpo le sue sbandate quotidiane di qua e di là, in caduta libera tra spirito e materia, nella nuvola probabile. Un rimpianto.
Poco a poco, si sentì meglio. C'era deserto nei quadri, e acqua liscia come piaceva a lei. E assenza di ostacoli. Niente colore rosso, ma trasparenti grigi e sabbia, con azzurri spenti. Tutto era smorzato, quieto, e questo la tranquillizzava. Sembrava quasi il posto ideale per una freccia con le sue esigenze.
Come seconda cosa realizzò di non essere caduta. Catturata, sì, ma senza spillo nella schiena. Perchè a tendere bene le orecchie era chiaro che nei quadri oscillava più di prima. Non allo stesso modo. Si sentiva più sottile, come l'avessero cotta e consumata in una fornace fino a restare scura e volatile. Esultò. Risuonava sulla carta come un diapason.
Le piaceva stare nei quadri appoggiati a terra, all'ultimo piano di un edificio elegante, nel pieno centro di una città dal confine disusato.
Forse era questo il suo destino di freccia. Nello studio, una nuvola di immagini appoggiate, sospese a mezz'aria, alle pareti, sulle sedie, tra le bottiglie vuote, sui tavoli, ai vetri delle finestre. In alto e al centro. E poi sul pavimento c'erano tracce ovunque . Le aveva riconosciute subito. Spirito.




martedì 11 gennaio 2011

Nel bel mezzo del suo regno



X casa in Pesci sente l'ombra di Marte al MC


Rideva l'architetto, rideva a crepapelle: Era una casa molto carina senza soffitto, senza cucina, non si poteva andarci dentro perché non c'era il pavimento. Non lo si poteva vedere, ma qua e là arrivavano gli echi delle sue risate. Era riuscito a costruirla! una casa che non c'era. L'idea gli era venuta usando l'inchiostro simpatico del quale non potevi provare l'esistenza con gli occhi soltanto. Un buco nero. Potevi sentirne solo l'attrazione e se eri lontano, solo un pizzicorino a fior di pelle forse, un istante di tempo che non riuscivi a collocare, qualcosa che non era mai la stessa cosa. E c'era sempre da ridere. Ma dal ridere si era quasi annegato quando con passo risoluto era entrato quel giovane bellicoso digrignando tra i denti un sonoro: Sono arrivato! vieni fuori se ne hai il coraggio! con la spada nel mentre aveva sollevato il telo nero e che faccia, che espressione assurda gli si era stampata in volto quando si era specchiato, l'attimo prima di perdere l'equilibrio e precipitare nel baratro tappezzato di specchi. Si soffocava quasi dalle risate. Non era riuscito a smettere di ridere neanche quando il giovane, Mario il suo nome, era risalito in superficie e si era seduto a guardarlo a gambe incrociate galleggiante nel vuoto. La fatica della risalita l'aveva premiato, si era visto in ogni sfaccettatura e ora guardava quel vecchio irriverente con mitezza, sorridendo. Era deciso a farselo amico e maestro.

sabato 8 gennaio 2011

L'arte del digiuno



Se lo smalto è perso, l'occhio a borsetta e il punto vita sporge come una emme (in verticale), è giunto il momento di un digiuno.
Niente cibo solido, solo acqua e sciroppo d'acero.
La purificazione va in tandem con la solitudine. Perchè riesca bene, oltre all'eliminazione del cibo, è opportuno evitare le intrusioni.
Quando vi depurate,  sospendete salotto e inviti, siano per amiche o amici, partner d'affari, di cuore o di svago. Saltando i pasti vi ritrovate con una discreta quantità di tempo libero, da non spendere in società perchè dovete considerare gli altri alla stregua di “cibo”.  Potreste obiettare che tra amiche e partner c'è una differenza,  che magari qualcuno di essi vale come cibo liquido,  con libertà di assunzione. Ma chi potrebbe stabilire con certezza se un fidanzato sia solido o liquido? O se l'amica X sia densa o scorrevole?
L' amicizia con i suoi teneri lacciuoli impegna sia nel parlare che nel tacere, necessita di antenne e di silenzi retrattili. Sconsigliamo pertanto di invitare le amiche per condividere la vostra tazza di acqua calda e succo d'acero. Sottoporrebbe voi e loro a una prova del tutto inutile.  
Per ciò che concerne l'affaire intimo, tutti sanno che le ganasce dell'amore sono stancanti, e nel digiuno non disponete di tutta la forza necessaria. Ma non invitate il vostro fiancè neppure per un tè, perchè sia esso liquido o solido, vi distrae e vi solletica come un piatto di carne cruda.
Nel digiuno sospendete ogni entrata. Il corpo ne approfitterà per riposare e mettere fuori roba. Non lo disturbate con visite affettuose. Sperimentate il vantaggio della distanza. Fate pure le vostre riflessioni, ma ricordate che uno scoiattolo è grazioso, due molto graziosi, cinquanta sono un incubo. La quantità è tutto. Fate di questo giorno un'opera d'arte, in cui la forza è togliere, espungere, ridurre alla sintesi. Pertanto agite in tal modo anche con tutte le cose ficcanti, che rimpolpano gioiosamente, ma prosciugano.
Il vantaggio di un giorno di digiuno è infinito. Il mattino dopo vi svegliate con lo sguardo limpido, il viso liscio e rimodellato, il punto di vita ad enne (in senso verticale). E con sorpresa sentirete di non avere una fame lupesca. Se volete continuare per un giorno ancora, potete farlo applicando le regole anti-intrusione. Certo il secondo giorno sarà più impegnativo tenere distanti certe presenze, ma non demordete nella scelta solitaria. Avete tutto da guadagnare. E se anche qualche fidanzato dovesse frullare via, non preoccupatevi. Il mattino dopo avrete lo sguardo ancora più limpido, il viso finemente ridisegnato, il punto vita a ti.

 

giovedì 6 gennaio 2011

Il centauro




Casa dodicesima in Sagittario

 Comincio le osservazioni molto prima che sorga il sole. Cuscino morbido dove appoggiare la camera, e una finestra. Mi apposto con una coperta e un thermos di tè caldo. La camera non è una macchina fotografica. E' uno strumento che ho costruito, e poichè non ho trovato un nome adatto, la chiamo camera. In modo molto approssimativo assomiglia a una macchina fotografica, ma non produce immagini. Serve a raccogliere particelle di luce al confine.
Devo fare una premessa. La luce si manifesta con uno spettro, e viaggia sulle cose costantemente. Tutti sono in grado di vedere i colori dello spettro, riconoscere un blu da un viola. Ma tra un blu 460 e un violetto 450 scorrono particelle di luce che stanno al confine tra i due, e non sono né l'uno né l'altro, o per dire meglio, non più e non ancora blu, e altrettanto per il violetto.
Ho costruito uno strumento con cui posso raccogliere questa luce estrema, che ha origine là dove il punto finale di una frequenza coincide con quello iniziale della frequenza successiva.
La camera è in grado di conservare questa luce per 24 ore, di più non sono ancora riuscito. L'ora migliore per la luce di confine è dalle tre o quattro ore prima dell'alba, quando il buio molto lentamente si trasforma in luce del giorno.
E' difficile catturare queste particelle perchè sono estremamente sfuggenti e labili. Hanno tuttavia una particolarità, sono attirate da un liquido leggermente salato. Ho messo a punto una sorta di piscina nella camera, in cui c'è acqua al 98 %, il resto è sale lacrimale. Per ottenere un micron di questo sale bisogna versare due gocce di liquido lacrimale su uno specchio e farle evaporare. 
Nell'atmosfera si manifesta una trasformazione luminosa progressiva. La particella di luce al confine viaggia rapida,  incerta sulla traiettoria,  trova nel liquido un luogo di sosta. Si adagia sul sale lacrimale, si ferma senza scivolare oltre. Il motivo di questo fenomeno è sconosciuto. Forse un antico collegamento tra  luce aurorale e lacrime.
Passate tre ore con la camera aperta, sono sicuro di aver catturato alcune particelle. Sigillo il foro d'entrata dello strumento, chiudo la finestra, oscuro la stanza e appoggio la camera sopra il tavolo. Sulla parete di fronte immediatamente la luce al confine si proietta e rimane fluttuante per un giorno intero. Poi impallidendo lentamente fino ai verdi gialli, scompare.
Io mi nutro di questa luce estrema, non ho bisogno di altro.

mercoledì 5 gennaio 2011

Ode al direttore


Dalla brumosa marinara terra
che giace ove 'l sol termina suo giro,
è giunto colui che in supremo seggio sta
sovra 'l magazzin che 'l sogno sparso
dall'aperti occhi noma.
Di gentile aspetto egli appare,
e spargendo va i rai di suo intelletto
a noi dintorno, che lieti teniamo in cor
sua fama come sovrana punta.
E sua dilettosa vision che 'l tempo
crudel pur scema, salutiam leggiadri
col canto della musa che
all'orizzontal opra
la beata verga ispira.

(dedicata al direttore del DDMagazine)

Frammento


la stura del cugno

Ode al 3 marzo

 
il giorno
in cui s'impicca è giunto.
Ci sarò pur'io a reggere 'l chiodo, 'l martello, 'l trafilo,
e la creatura intelaiata del nostro comune amico.
Per l'occasion chiedo un permesso per schiodar le terga anzitempo,
e recarmi alla dimora per foraggiar il felin pria dell'opra,
e rinnovar con artificial inganno il candor del volto e le gote di vermiglio petalo,
indi con leggiadro piè sorvolar l'aere fino alla dimora di colui che tu ben sai;
in un vasel lui, emanuel di genova, ed io, ci porterem all'antro delle ninfe knulpee,
a dispor con garbo sull'onuste mura la dispiegata e varia famiglia della vision
che l'esule dell'aspra terra, a noi giunto dalle vaghe stelle del tirreno pelago,
diede per gioir sè medesimo e farne gentil dono a noi, sue timide ancelle
dell'accolita che 'l sogno abitator del giorno elesse a sua insegna,
ed alla giostra dei cavalier e delle dame che ivi converranno per diletto,
nel dì quarto all'ore che richiama il sospirato calice di dionisiaco dono
esser dato all'uopo per sollazzar le membra avanti il desco.

(3 marzo 2009 allestimento della mostra Frammenti Sparsi. Irritante per gli occhi)

vedi qui

Storia di un bacio



“Ti butti?”
“Ma sì. Sono stufo di stare qua, mi annoio.”
“Io mi ci trovo bene. E dove pensi di andare?”
“Di sotto. Vedi quei due seduti sulla panchina?”
“Sì, sono lì da un bel po'. Buona fortuna.”
“Addio.”
E saltò giù. POF ! Ahia!
Caduto nel mondo sensibile, Bacio Assoluto rotolò in basso vicino alla panchina dove erano seduti una damigella in vestito rosa lampone e un giovane alto e impettito.
A balzelloni riuscì a salire lungo il vestito della fanciulla,  e si  sistemò sulla spalla  che la scollatura lasciava un po' scoperta.
“Ma che fate, principe!”
“Io nulla. Perchè?”
“E invece sì! Voi mi avete baciato la spalla!”
“Nego assolutamente.”
“Allora chi è stato secondo voi?”
“Non so, ma vi consiglio di usare l'ombrello.”
“Come arma di difesa?”
“A volte cadono da lassù cose. Roba platonica, sa il mondo delle Idee e roba del genere. L'ho letto su un giornale, è stato trovato un Bacio Assoluto disperso in Russia."
“Strano che vengano quaggiù. Il mondo delle Idee deve essere un luogo confortevole.”
“Non a tutti piace, evidentemente. Comunque quando atterrano, si infilano dappertutto, senza educazione.”
Intanto Bacio Assoluto se ne stava sulla spalla della dama cercando di aderire il meno possibile con uno sforzo che gli costava fatica come stare in punta di piedi per ore. Era preoccupato, non avrebbe potuto resistere a lungo in quella scomoda posizione. Inoltre avrebbe voluto dire la sua, spiegare che si annoiava dove tutto era rigido, eterno, a stoccafisso. Ma non si fidava di parlare a quei due sulla panchina, l'uomo soprattutto gli sembrava freddo e scostante con la damigella. 
“Le consiglio caldamente di usare l'ombrello, potrebbe ritrovarsi una cosa platonica chissà dove, e non dico altro."
"Ditemi,  principe, perchè mai dovrei difendermi da un bacio perfetto? Se è arrivato fresco fresco dal mondo delle Idee, deve essere bello, anzi molto bello. Chissà dove sarà finito?" e la damigella si guardò mesta il vestito e le scarpine di raso lampone, cercando qualcosa.
Bacio Assoluto era arrivato al limite della sua resistenza. Si lasciò cadere scivolando leggero fino allo schienale della panchina. Guardò giù la neve. Il bianco e freddo gli ricordava la sua casa lassù, ma qui il bianco pareva soffice.
La sua avventura nel mondo sensibile non poteva  finire con  quei due a discutere. Dov'era la passione, la sensualità, la carne che aveva tanto sognato? Via da qui.  Saltò nella neve.
POF! Ahia !



martedì 4 gennaio 2011

Storia dell'aria



Il principe dell'Aria viveva in un castello sulle cui torri svettavano innumerevoli antenne. Ogni mattina il principe trasmetteva messaggi e dispacci che raggiungevano i punti più lontani del regno grazie alle potenti antenne che diffondevano le onde trasportatrici. Tutto poteva viaggiare su di loro, bastava esprimere un'idea e le onde la indirizzavano nel punto preciso in cui si sarebbe realizzata, senza bisogno d'altro. Questo era molto comodo e faceva risparmiare tempo e denaro a chi abitava nei domini dell'Aria.
Dopo aver sbrigato gli affari del suo regno, il principe usciva per una passeggiata, scendendo fino alla  fontana del borgo. La sua meta era la pasticceria reale dove si fermava ogni mattina a guardare le alzate di cristallo colme di  paste. Tutte lo attiravano ed erano desiderabili allo stesso modo, sia che fossero un cestino di pasta frolla con fragoline di bosco,  o una millefoglie alla crema,  o una granatina di panna e cioccolato. Il principe le ammirava  pieno di desiderio, ma oscillava dall'una all'altra, e in cuor suo si rammaricava perchè sceglierne una significava rinunciare alle altre, almeno fino all'indomani mattina, quando la pasticceria reale avrebbe sfornato altre pastine tenere, profumate e fresche, ricominciando tutto daccapo.
“Ehi principe!” si sentì apostrofare dal vetro dietro al quale stavano le dolci bontà - “Toglimi da questa vetrina!”
Il principe rimase sbalordito perchè nessuno mai aveva osato rivolgersi a lui in modo così sfrontato.
“Per favore.” disse una pasta millefoglie alla crema di lampone, che stava un po' discosta dalle altre dolcezze.
Il principe diresse il  pensiero su quel punto e, grazie al potere delle onde trasportatrici, in un attimo la pastina si depositò tra le sue mani. Uscì e andò a sedersi sul bordo della fontana, appoggiando con delicatezza la pastina accanto a sè, incuriosito e stuzzicato nell'appetito.
"Grazie” -  disse il dolcetto -  “Non fa per me la competizione. Ho altro da fare io.”
“Ma è nella tua natura di pastina stare lì e aspettare che qualcuno ti scelga.” rispose il principe che già pregustava.
“No, non per me. Io voglio andare sull'Himalaya .”
“Perchè in un posto così lontano?”- chiese il principe con leggera impazienza.
“Perchè al suono della montagne più alte posso mutare forma. Ci vado subito con le onde trasportatrici,  prima che qualcuno decida di ingollarmi. Addio.”
E saltò rapida in groppa a un merlo che spiccò il volo all'istante, lasciando il principe come un baccalà con la mano allungata a mezz'aria.
Il principe indispettito ritornò al castello, e dimenticò presto quel bizzarro incontro,  travolto com'era dagli importanti affari del suo regno e delle sue antenne.
Passò un anno, e una mattina radiosa il principe fu svegliato nel suo vasto letto principesco dal rumore di qualcosa che batteva contro il vetro della sua finestra. Si alzò per vedere cosa fosse, e sul davanzale trovò una chiave d'oro e un biglietto “Cerca la porta”. Non era firmato, ma sul bordo c'era un soffice sbaffo rosa molto invitante. Il principe lo assaggiò e riconobbe il gusto della crema al lampone di cui era ghiotto.
Girò tutto il castello alla ricerca della porta che la chiave avrebbe aperto, ma invano. Stanco si sedette sui gradini della scala a chiocciola di una delle torri. Qualcosa di guizzante attraversò il pavimento e si fermò davanti a lui. Un topo dai baffi biondi gli fece cenno di seguirlo con una zampa, e si buttò veloce come un razzo giù dalle scale. Il principe lo seguì scendendo a capofitto i gradini che sembravano non finire mai. Finalmente giunse al fondo, davanti a una porta lucida e intatta di cui non aveva mai sospettato l'esistenza. La porta, girata la chiave d'oro, subito si aprì con un sonoro scricchiolio. Il principe si ritrovò in una sala dal soffitto altissimo, rischiarata da torce accese che brillavano dalle pareti.
Nel mezzo stava un grande tavolo ingombro di oggetti che mostravano la patina del tempo. Il principe notò nell'ammasso un caleidoscopio, lo prese e lo avvicinò all'occhio puntando l'oggetto verso la luce delle torce.
Una cascata di arcobaleni digradava dolcemente in un delicato girotondo e si dissolveva in una nuvola azzurra. Ripose l'oggetto sul mucchio delle cianfrusaglie, quando sentì qualcuno che lo apostrofava:
“Ehi principe, toglimi da qui!”
Rimase di stucco, e scrutò attentamente il mucchio sul tavolo.
“Per favore. “  Il principe riprese lo strumento impolverato e lo osservò attentamente.
“Sono tornata dall'Himalaya e ....” continuò l'oggetto.
A sentire queste parole, il principe mollò subito la presa e il caleidoscopio cadde a terra con gran rumore di ferraglia. Subito nel punto in cui era caduto si sprigionò un vortice di colori che zampillò come l'eruzione di un vulcano fino quasi al soffitto. Il principe arretrò spaventato, ma rimase a bocca aperta e col naso all'insù a guardare la girandola che si esaurì in una nuvola azzurra, dalla quale pian piano comparve un lungo vestito a millefoglie color crema di lampone. Nel vestito c'era una damigella.
“Crema di lampone!” esclamò il principe dalla sorpresa.
“Sì” rispose l'apparizione, tenendo gli occhi bassi e aggiustandosi le pieghe del vestito che scendevano vaporose fino a terra.
“Ma come è possibile ? Come ?” chiese il principe sbalordito.
“Te lo racconterò.” rispose, e lo prese a braccetto. Si incamminarono verso il giardino del castello. 
C'era una panchina in mezzo alle siepi ricoperte di neve.


4. Dove si rivela un segreto


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Gentile dottoressa Otile,
dopo anni trascorsi nel suo studio, con guanti gialli e candeggina, tra tè e cocktail, sono giunta alla conclusione che separarsi è necessario.
Ho condiviso con Lei la vicinanza del lato oscuro. L'ho soccorsa, l'ho slegata, l'ho sbavagliata, ho ripulito il suo tailleur dalle emissioni dei suoi pazienti, le ho sostituito le calze lacerate con eguali nuove del suo colore preferito scoiattolo, le ho preparato il tè e versato chartreuse o armagnac nel suo bicchiere di cristallo. Ho ascoltato dalla mia scrivania e ho risposto al campanello d'allarme con cui chiedeva il mio intervento. Ora sono pronta. Come un addetto alle luci in un teatro che ha visto mille repliche di Edipo, conosco il copione, e sono pronta. Sento che la scena è predisposta per me, e mi attende. Ha ragione quando dice che è stata una fortuna la catastrofe del cuoco.
Sebbene abbia compreso il suo stile analitico, erano anni che mi aspettavo accadesse qualcosa di simile. Ma sono d'accordo con Lei, l'evento catastrofico muove una giostra psichica che diffonde a cascata effetti imprevedibili.


Vede dottoressa, ora  mi sento libera. Perchè dopo aver chiuso ogni sera la porta del suo studio, per anni prima di tornare a casa, ho dovuto sedermi in qualche bar a riempire un quaderno con tutto quello che avevo visto, sentito, capito, per scaricare fuori da me tutto il male che mi aveva sfiorato. Negli anni ho raccolto decine di quaderni, che ora conservo in un armadio. Soltanto così ho potuto salvarmi. Non sono rimasta integra, naturalmente, sono costantemente affamata e inquieta, e non digerisco. Devo usare i prodotti per il trucco Emotif, perchè la mia faccia senza trucco non esprime più nulla, se non disgusto. 



Farò tesoro dei suoi consigli. Non si preoccupi per me, sono in grado di provvedere. Sfrutterò le mie qualità "per rimettere tutto a posto", che sono sempre molto ricercate. Non capisco bene ciò che intende con thanatos e restaurant, ma ormai ho alle spalle il labirinto analitico, e non mi interessano più le sottili interpretazioni della sua splendida mente. Sono sulla scena, adesso, e la prego di non mandarmi una cartolina dalle Isole Tuamotu.  So che Lei avrà una spiegazione per tutto quello che le ho detto. Le auguro buon soggiorno. Addio.
Claire
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