martedì 12 luglio 2011

Sogno

Entrò nella hall dell'albergo con leggero anticipo sull'inaugurazione, gli occhiali da sole e la pochette nera sotto braccio. Dalla luce e dal caldo della strada si ritrovò nel fresco e nel chiarore delle alte pareti beige dove erano sistemati i quadri. Salutò diverse persone e aprì la piccola borsa per prendere l'astuccio con gli occhiali da vista, ma si accorse di averlo dimenticato.  
Restò con gli occhiali scuri, divertendosi a pensare ci fosse qualcosa di abbagliante in quella grande sala. Diede una rapida occhiata alle opere in mostra. C'era grigio e bianco, colore smorzato, forme di una donna che si intravedevano oltre velature ruvide e aggrovigliate o ancora lisce come gocce d'acqua sul vetro. Un gioco, l' azzurro cupo delle lenti da sole per farsi schermo allla  radiazione che le immagini emanavano, simile a uno sfolgorio maligno che la guidava all'unico ago rimasto nel regno.  Visitatrice a una mostra riporta ferita grave, fitto mistero sulle opere d'arte incriminate .... !  pensò mentre il sorriso le si piegava a  una leggera  inquietudine. Piuttosto non veder nulla,  occhiali neri da cieca.  
Chiuse gli occhi per un istante. Alle pareti lo sentì  erano appese scene di un rituale che  non si poteva "guardare", ma  "ascoltare" con una percezione amplificata, come chi è privato della vista.
D'un tratto provò una sensazione di estraneità,  e si sentì spinta suo malgrado verso un unico punto, dove c'era una brace che continuava ad ardere e illuminare con persistenza ostinata, e che riguardava la donna ritratta e l' artista. Quel punto bruciante raccontava un "noi" che aveva custodito e nutrito la scintilla di quelle immagini. Come un emissario nascosto sotto terra, esse continuavano ad alimentare la radiazione.
Sembrava che il tempo e lo  spazio in cui le immagini erano state create, non si fossero esauriti allora, ma fossero diventati nel presente una sostanza materica. L'attimo di una vicinanza desiderante era stato fissato sul quadro,  in cui  lo sguardo dell'uomo e il corpo della donna erano un' unica disperata densità. E non si esauriva come le ultime parole  dette in un addio, ma continuava simile al suono di una voce che si è persa, che altre voci  confondono,  ma poi la si raggiunge  ancora una volta,  nel silenzio di un'aria lieve e fredda di neve, per il compimento di un'intimità  e di un  epilogo, che  lacera e cerca di tener chiusa una ferita rossa. E ritornare da quel tempo era un perdere rappreso nella grigia neve grafica sparsa sul fianco del corpo ritratto.
Accecata per aver visto troppo, uscì dalla sala prima del tempo, senza lasciare traccia dietro di sè.

domenica 19 giugno 2011

L'essere nell'attimo dolce e meschino




Prematurità di Corrado Premuda è un libro in cui scavare dolcemente, lasciandosi prendere dalla fragranza di uno stato intermedio tra l'acerbo e il succoso, un modo d' essere fluttuante con garbo, che affascina perchè permette di vagare e smentire contorni, definizioni. La maturità è ripiegata come un fondale dipinto per un futuro spettacolo, resta l'attimo bello largo di un divenire che non impallidisce mai.
I capitoli del libro portano il nome di una tornita famiglia di dolci, da forno o da frigo, che sollecitano piacevolmente i circuiti della nostra memoria gustativa tattile e visiva. Un impianto di sottile contrasto dato che le torte suggellano una festa, quindi un tempo che matura, raggiunge un culmine, mentre lo stato aurorale della pre-maturità abita il lungo istante che precede il compimento. Andrea Guerzoni ha illustrato ciascun capitolo interpretando i dolci titoli come creature dotate di vita nascosta, con uno stile sintetico e introspettivo che rende ai difficili soggetti un'anima mai sdolcinata e banale.
E' nel delicato senso sinestetico di legno dolce che possiamo definire Prematurità un libro “dolce”, in cui Premuda coglie essere e attimo disegnando percorsi come onde e pennacchi di chantilly, con un tocco aspro qua e là, una scrittura calibrata e fluida che sa bilanciare intreccio e velature con il piglio brillante di un vero maitre patissier.


L'avvio è sinfonico, quasi barocco nelle volute gonfie della torta granata che si innalza tondeggiante e monocroma nel capitolo uno. E' la prima delle torte “solari” che insieme alla torta al limone e alla stella glassata, costituiscono il primo movimento di un'energia ricca e sovrabbondante. In questo trio dolce dall'estetica pastosa e gioviale appare evidente la virtù del dessert, il donare, non perchè un dessert sia “buono”, ma perchè dona tutto di sé per sua natura intrinseca, come il sole che irradia.
Al quarto capitolo entra in scena la prima figura di antagonista, il budino bianco senza zucchero ai frutti di bosco, che apre il contrappunto delle torte “meschine”, la serie senza zucchero che rappresenta il pensiero devitalizzato della rinuncia. Un dessert che simula il “dolce” con il “dolcificante” o con il solo gusto dolce acidulo della frutta, crea un inquieto slittamento di senso che corrompe la virtù del donare in cattiva disposizione (Gilles Deleuze, La meschinità del dessert e altri saggi),
Con gusto della sintassi sensoriale, Premuda inserisce tra la stella glassata e la torta alveare, il budino bianco, breve e basso, incapace di quell'adesione radiale aperta che la forma “stella” e la forma “alveare” hanno per lo stato gioioso dell'essere. Il lettore pensa subito a una contrapposizione netta, da una parte il dolce schietto e aperto che dona, dall'altra il dietetico in odor di sacrificio e di risentimento. Ma è solo l'inizio, e non ci sono milady o d'artagnan nascosti nei bignè.
Un profumo esoterico accompagna i tre capitoli successivi che spostano la dolce dicotomia su un piano alchemico. Il miele (torta alveare), la ri-cotta (torta omonima), la sfoglia (millefoglie di frutta) sono le trasmutazioni dell'energia “dolce, che ci dimostra come la virtù del dessert solare, il dono di sé, sia duttile, mai cristallizzata, pieghevole, ricca di stati e sfumature.
Contro questa esuberanza il ciambellone alle mele senza zucchero ostenta la modestia affettata della ricetta “povera”. La nota cupa e rabbiosa è riconducibile alla privazione del saccarosio, e nasconde una inaudita violenza pronta ad esplodere contro.
Sull'altro versante la radiosità vi risulta noiosetta ? Corrado Premuda non ci offre una risposta semplice. L' oro risplende perchè non può fare altrimenti, così la torta impero e la blasonata Saint Honorè, puro sfarzo condensato, non possono che giocare a far scoobidoo con la gelatina d'arancia e la mirabile dorata piramide (frutta e bignè) così il tedio è sconfitto brillantemente.
Per bilanciare tanto luccichio, l'ombra meschina si adegua. La millefoglie al caffè prova la via del mimetismo copiando (senza riuscirvi a causa del grigio senza zucchero) la brillanza della crema nelle torte “solari”, ma così facendo accorcia lo scarto dalle torte lucenti, e questo ci sembra un bel momento di illuminazione.
Nell'universo di Prematurità non esistono bene e male che si contrappongono, ma un flusso di energie, basse o alte, zuccherate e non, che si intrecciano come i danzatori di una giga.


Il satori è raggiunto quando l'allegra torta di riso alle pesche suggerisce (in modo implicito) di ridere di se stessi, una saggezza che arriva finalmente come un grosso verme di crema pasticcera in caduta libera. E non importa se insistono i cubetti di ricotta, senza zucchero, serrati come dei piccoli “No” ripetuti a raffica.
Chi vince? chi perde? Il finale è sorprendente perchè l'autore pur arrivando ad alcune certezze, ci consegna un capitolo finale senza titolo e senza torta , vero enigma che lasciamo alla curiosità del lettore.
Ma prima le certezze: la torta Paradiso sposa la torta Foresta Nera, affermando così la coincidenza tra cielo e terra. L'ultima voce non zuccherata, la torta di mele ci invita a guardare dove le cose sono piccole, esigue come un impasto di farina, latte e mele. L'infinitamente piccolo ci viene suggerito proprio dall'avversario, che avversario abbiamo visto non è, ma sta in campo dall'altra parte della rete per comodità.
Scendiamo qui dall'universo premudiano che ci ha raccontato come terra e cielo, abisso e altezza, dolce e meschino abitano nella stessa cucina. E a noi piace molto così.

martedì 10 maggio 2011

Storia di B. al semaforo



Al semaforo è bianca e guarda in alto sopra le finestre degli edifici, non la strada davanti a sè. Dorme superficialmente, sotto la pelle a poca distanza, ma quel che basta a non sentire. Attorno. Un passo appena. Ritrarsi. Una sciarpa è un sistema di protezione contro il clamore. I colori e la luce là fuori. Qualcosa suona, ma non c'è forza per rispondere. Tutto è scabroso. Non ha ancora voglia di tornare.

venerdì 22 aprile 2011

Appunti brevi


Bacio: Ho una sensazione fantasma.
Bouquet di ciliegie: Non ci riguarda. Siamo pura metafora.
Bacio:  Continuo a sentire di più,  ditemi perchè.
Bouquet: Non è semplice da spiegare.
Bacio: Amo l'arte. E non sopporto il visivo.
Banco macelleria: E' di me che parli?
Bacio: No. Togliti per favore.
Banco macelleria: E perchè? Non ti piace la roba forte?
Bacio: No, a me piace la roba, come dici tu, sottile.
Banco macelleria. Che noia! e tu? non mi difendi?
Visivo: (muto)
Bacio: Mettiti una benda.
Visivo: (esegue)
Scultura: Piano, non mi sono mai sentito così.
Bacio: Non devi parlare.
Scultura: La conoscenza ? Ti prego di aderire meglio qui.
Bacio: Adoro le frontiere, il pulsare della creatura al suo primo mattino.
Scultura: Sono lucido ma non sempre. Amo le vie qualsiasi, purchè ci sia tepore.
Altalena: Si chiude. Lei la smetta una buona volta di girare e lei non stia impalato. Avanti
Scultura: Lei disturba la privacy.
Bacio: Torni dopo.
Altalena: Vi concedo una pausa soltanto, poi briciole e polvere.
Ciliegie: Siamo tornate, dove ci mettiamo?
Scultura: Preferisci me a loro? Addio.
Bacio: Qui da me, venite tutte. Dormite con me, fatemi sentire la vostra morbidezza. Ho paura della notte.

(fine)

martedì 19 aprile 2011

Appunti di bacio





Il bacio aveva una sensazione fantasma.  Una cosa simile a un bouquet di ciliegie premium,   la forma liscia e piena che lo riempiva tutto come biglie in un esercizio per balbuzienti. Non riusciva a spiegare il sentire fantasma, che persisteva tornito e plastico dopo aver finito il baciare. Un sentire amplificato,  come se il fine contorno del bouquet ipotetico fosse rimasto  impresso sulle sue pareti, per così dire,  fotografato in 3D.
Il bacio aveva un posto nel tattile, apparteneva alla compagnia di epidermide e polpastrelli, dove ricopriva un posto di rilievo, ma questo non spiegava nulla. C'era  una qualità di sensibile in più nella cosa fantasma.
Ora, sapeva bene che sentire di più non dipendeva da una semplice somma di organi di senso. Baciare con gli occhi spalancati non raddoppiava i recettori nè aumentava la sensazione piacevole.
Anzi. Il visivo era talmente assuefatto di stimoli che per svegliare dal torpore il nervo ottico era necessario pestare sui tasti con immagini forti. A qualcuno piaceva, ad esempio,  baciare il più superbo bouquet di ciliegie magnum tenendo al contempo gli occhi fissi sopra  una testa d'agnello appena macellata. Il senso estremo non gli interessava.
Al contrario, preferiva qualcosa di sottile e inquieto. Per avere una percezione più intensa bastava escludere con una semplice benda il piano nobile degli occhi.  Il visivo era stolido, tirannico, e il bacio accarezzava spesso l'idea di farlo fuori.
Bisognava sovvertire la gerarchia, fondare una nuova conoscenza su sensi rinnovati e più equi. Ne aveva parlato spesso  con gli altri del  tattile, gusto e odorato, ma quelli si erano chiusi nel mutismo, tanto erano abituati a fare i servi del visivo. 
Così aveva cercato di espandersi per conto suo,  e  aveva scelto l'arte.
Aveva scoperto che girare attorno a una scultura, a cui aderire deciso, in un passare e ripassare senza fretta, gli produceva una percezione  stereoscopica che andava ben oltre la semplice somma di visivo più tattile. Baciare la scultura era  esplorare frontiere percettive ignote, e come bacio poteva accogliere il pulsare della forma senza divorarla. 
La scultura aveva piccole vene gonfie e rilievi e cupole, curve e rientranze, seguire le quali era come leggere un trattato, e inoltre sotto il suo contatto,  la scultura sembrava prendere vita come una creatura al suo primo aurorale  mattino. Il bacio sprofondava lentamente tra le cupole e le vene nell' assoluto desiderio di inglobare in sè la forma che risplendeva lucida come una nike alata. Dopo restava una sensazione fantasma, come un atto di conoscenza che lasciava nella luce piena.
Così aveva conosciuto la cosa fantasma, che gli restava dopo e che a poco a poco sfumava, lasciando nell'esaurirsi, l'accordo mesto di un declino .
Il bacio amava il silenzio, il tepore, la vastità del tempo, il liscio della scultura. Il tempo rallentava mentre si perdeva in un continuo avvolgersi  attorno fino a che raggiungeva quella percezione amplificata grazie alla quale gli pareva di baciare l'intero universo.
Il pensiero della dissoluzione che avrebbe sbriciolato la scultura e  lui stesso, era lì accanto come il cigolio insistente di un'altalena  vuota. Oh sì, lo sentiva in ogni momento,  perchè la percezione  era legata stretta  alla fine della percezione. Ma per un po' lo dimenticava quando l'universo entrava nello schiudersi  umido e delicato delle labbra. La sensazione fantasma lo incantava e per così dire il bacio  chiudeva gli occhi per sentirla durare ancora a lungo.

in breve
alla moda

sabato 16 aprile 2011

Storia del tubo




Era sera,  le cose diurne finivano,  un ultimo sorso di tè, un' ultima birra, un punto a fine frase. I resti aspettavano quieti di essere messi da parte, nel mucchio informe del cesto delle cose per il/ un / domani, ma quelle in bilico tra fare o  rimandare restavano  inquiete sul bordo.  Da lì accadeva che proprio all'ultimo momento prima della discesa nell'oblio, improvvisamente qualcuna saltava a cavalletta fuori dal cesto "domani",  un pulire, un lavare  che non poteva essere rimandato. Anche il tubo.
Si occupava di rimuovere scorie quando il segnale "full" diventava chiaro, come quella sera. Il tubo senza altro indugio saltò fuori dal cesto “domani” e si fece strada nell'adesso con piglio sportivo. Riempì d'acqua tiepida fino alla tacca uno. Le varianti riguardo la temperatura e la quantità erano l'aspetto più creativo del suo lavoro. Ormai aveva  una sua routine che svolgeva calmo concentrato. Niente eccessi come agli inizi quando era inesperto, e si era imbarcato con litri d'acqua caldissima. 
Appeso si sentiva bello come una teleferica o una funivia ferma alla stazione d'arrivo in alto. Gli piaceva perchè erano pochi gli specialisti d'acqua in caduta, lui, le flebo e i canadair, che ammirava segretamente. 
Certe parole le sentiva proprio sue, ad esempio colon, che sembrava venir dritta da una poesia. La preferiva a intestino che con quell'ino in fondo predisponeva al vittimismo. Il tubo era orgoglioso di mettere a posto e pulire, perchè dopo uno era contento. Ma  il tubo aveva un suo cruccio, l'essere innominabile. Non entrava mai nei discorsi. A meno di essere in una corsia d'ospedale, dove lo  indicavano senza tatto e delicatezza, mentre lui aveva una sensibilità.  Ormai non ci pensava quasi più,  a meno che non fosse sera tardi. Preferiva dedicarsi ai sogni,  immaginare di essere funivia, serpente, nilo, estintore, messaggero, fontana, microfono, pioggia, oppure uno dei super eroi, un  liberatore in cui si identificava.
Aveva finito. Ora le cose potevano stare quiete e rimaner ferme nel buio delle stanze. Dormire no ma era bello poter stare qualche ora immobili prima che il ticchettio diurno riprendesse. Il tubo sognava Capitan America.

mercoledì 13 aprile 2011

Lame




E quando Chrono recise i genitali a Urano..
Nettuno li ingoiò spumeggiando fuori Venere.
Storie di lame,
lamenti
e lamè.

lunedì 11 aprile 2011

haiku "Il cìgnema"






A me il cigno piace solo sul sapone, impresso,
sapone bianco
oppure come bignè.

venerdì 1 aprile 2011

10 piccoli arcani


Mercurio trigono Nettuno

(la prima parte è qui)

Il Vecchio Femmina mescolava le sue carte seguendo il ritmo delle onde, seduto a gambe incrociate sulla sabbia, spalle al mare.
Il Bambino Dorato gli stava accanto facendo domande sul proprio destino.
Comunicavano telepaticamente.
Il Vecchio estrasse 10 carte:


Il Panda Clown Equilibrista, sospeso sopra il baratro sulla sua biciclettina.

La Sirena au Contraire, muta e dotata di gambe, inutile e mostruosa.

La Gru nella Tempesta, imponente, solitaria, alla deriva.

L' Uovo Conchiglia di Tutte le Cose, perfetto, prodigo e fecondo.

Il Divaricatore Radiografato, utile, minaccioso ed evidente.

La Torre di Babele Completata, spirale ad energia solare.

La Spiegazione della Bottiglia con la Carota, supposizione supposta.

L' Equazione Frigorifera di Secondo Grado (sottozero)

Il Collare Intoccabile del Lupo.

Il Pettine Annodato.

Il Bambino non capì un' acca ma si divertì molto.


(qui c'è un' altra storia arcana)

mercoledì 30 marzo 2011

6. Dove Claire cade


da qui

Cara Gigliola,

ho comprato la divisa, l'ho indossata, e ho iniziato il lavoro. Non penso, pulisco, mi piego, vado negli angoli, sollevo i tappeti, gratto le piastrelle. Ci sono dei libri che spolvero, e non resisto, qualche volta li apro. So che non dovrei farlo, mi metto sul letto e leggo. Lui non c'è, torna tardi quando ormai ho finito. Non so bene neanche che lavoro faccia, ma mi paga sempre con regolarità. Se per caso rientra prima, si mette sul divano, mi osserva, non dice niente. E' cortese, distaccato. Alto e asciutto, una faccia comune, capelli di media lunghezza, riservato. Molti libri in giro per la casa. Veste sportivo, calzini corti, scarponi grigi. Forse la mia divisa lo mette a disagio, o anche no. Non penso. Preferisco non incontrarlo, se è accaduto è perchè mi sono attardata su qualche libro, e non mi sono accorta dell'ora. Vado via prima che arrivi. Quando parli di umiliazione, del piacere ad essere umiliata nella mia ipotetica intelligenza, mi immagino una scena da circo. Il grande numero dell'umiliazione senza rete, con brivido "cadrà o non cadrà?", e musica di violini che tremano. Pulire per me è un lavoro psicanalitico, un gorgo a dir il vero, perchè lo sporco non finisce mai, si inabissa nei posti più bui e dimenticati, ritorna senza tregua. L'umiliazione è un semplice avvio, dopo non sento niente, voglio soltanto andare sempre più in basso, portata da una forza a me estranea, fuori dal controllo. Sono certa che anche tu, quando fai i tuoi giri da Bernardini, al Corso,  l'aperitivo delle sette,  hai una leggera vertigine che ti porta sempre più in là di dove vorresti andare. Hai un talento, Gigliola, che forse non metti a frutto ancora. Adesso sono stanca. Vado a dormire.

L'uomo con gli occhiali





L'uomo con gli occhiali aveva camminato mezz'ora sulla spiaggia prima di sedersi e togliersi il giubbotto. Da una tasca aveva tirato fuori una lattina di birra Child, con  un puttino grasso e dorato, e la scritta blu e oro intrecciata di svolazzi. Dall'altra  il mazzo di carte che aveva comprato in un bazar davanti la stazione,  una scatoletta rossa con una scritta nera Piccoli Arcani. Se ne infischiava di tarocchi e simili, ma gli era piaciuta la scatola.
Prese le carte e si guardò attorno un momento, nessuno a quell'ora di mezza mattina. Aveva ripiegato con cura il giubbotto. 
Non si sentiva a posto. Una cosa zitta zitta covava facendogli sentire non rimorso, ma una punta, anzi meno di una punta, di disagio. Chissà lei come l'aveva presa a vedersi segata dagli amici di fb.  Avrebbe voluto sapere.
Pescò dal mazzo tre carte, le dispose rovesciate davanti a sè, le girò. "Gru nella Tempesta", "Panda Equilibrista", "Uovo Conchiglia" Non capiva un bel niente di Piccoli o Medi Arcani,  ma così,  a intuito, gli dicevano che si era legato al palo a stare su fb. Dietro lo schermo,  protetto,  a fare pubblica, mi piace,  commenta,  sferzante sempre, un bel contropelo a chi capitava. A tutti. Anche a lei.
E le foto che aveva messo nell'album di fb, come quella dove aveva le patatine fritte infilate nel naso. Aveva spirito, assolutamente. Virtuale, non tanto.
Si era ritrovato a fare un circo e  tutto per colpa di quella che in alcun modo poteva dire " amica". Le carte erano sincere.  Di mangiare foglie di bambù era stufo, ma quando uno è panda, panda gli tocca fare fino in fondo. Chiudere le valve, e amen.
Aprì la birra Child. Il puttino grasso con l'oro lustro addosso sorrideva. Tirò un sorso e ancora un altro. Un leggero gusto di affumicato, ben alcolica. 
Fece scivolare ancora tre carte da sopra il mazzo,  mettendo una seconda fila. Le girò: "Sirena al Contrario", "Divaricatore Radiografo" e "Pettine Annodato". Era lampante, non c'era dubbio, le carte non mentivano. Lo aveva costretto ad agire in modo chirurgico. Quell' amica di facebook che quieta quieta era uscita dal guscio di uno sbiadito ricordo. Il puttino grasso sorrideva in mezzo all'oro e agli svolazzi, l'arco abbassato, la freccia assente. Sete e birra.
Un messaggio alla chetichella, con tanti baci e addio, e subito dopo aveva cliccato lei e  Rimuovi dagli amici. Le compagne di banco sono un pericolo, per un po' ti diverti, dopo meno,  specie se nel passato  un pensierino l'avevi avuto, sulla compagna di banco da stendere sul prato. Ma non l'avevi consumato il pensierino. E una volta ritrovati Oh! Ciao! dai Raccontami della tua vita. Lo schermo protegge, si sa, e a poco a poco il tono confidenziale era scivolato giù,  un pezzo alla volta, come uno spogliarello, mostrando tutta una nudità nuda. L'aveva inseguita tra le parole di un messaggio inviato e un commento sulla bacheca. Scopriti ancora un po'. Qui.  Un sorso di birra Child. Per gioco era stato insinuante.
“Come l'aveva presa,  lei?” domandò alle carte, tre ne tirò fuori, coperte, terza fila. Girò con cautela, forse era una domanda da non fare. La curiosità pungeva. "Torre di Babele Finita", "Collare Intoccabile del Lupo", "Bottiglia Carota". Bene, benissimo. La pupa, rimossa dagli amici,  era rimasta confusa con l'amaro stretto al collo.  Non l'avrebbe rivista mai più tra i suoi post. Ebbe una punta di brivido, anzi meno di una punta,  a pensare "mai più".
Ancora un sorso di birra Child. Il puttino grasso sorrideva mesto con l'arco all'ingiù e una pipì dorata che zampillava tra le cosce. Birra affumicata. Raccolse le carte e le rimise nella scatoletta rossa con il coperchio, ben chiuse.



martedì 29 marzo 2011

Il confine (seconda puntata)




Quando si fu addormentata il fotografo rientrò.
La osservò a lungo esile e nera sul divano bianco, coi piedi giù per non sporcare e le mani giunte sotto la guancia.
Il cioccolatino aveva fatto effetto più presto del previsto, c'era da lavorare ancora un po' sulle dosi...
Indossò dei guanti di lattice nero e la esaminò esternamente come un medico legale aiutandosi a momenti con una bacchetta da sushi anch'essa nera.
Cominciò dall'alto cercando tra i capelli. Poi nelle orecchie. Sollevò le palpebre e guardò dentro. Con la bacchetta scostò le labbra e perlustrò i denti e l'interno della bocca. Passò poi alle mani, le annusò, le assaggiò, controllò sotto le unghie. La stessa cosa fece con i piedi. Infine la spogliò delicatamente tastando la sua consistenza. Nulla sembrava cambiato da quando l'aveva fotografata poche ore prima.
Deluso la rivestì. Presto il cioccolatino avrebbe cessato il suo effetto.
Il primo esperimento non aveva fruttato alcun indizio. Nulla nella parte corporea di lei lasciava intendere cosa potesse aver visto nell'inquadratura della macchina fotografica quando l'aveva lasciata sola.
Eppure sicuramente qualcosa aveva visto.
Il confine andava spostato di un po'. C'era tutto il tempo.
La ragazza si mosse impercettibilmente, era ora di tornare di là.

sabato 26 marzo 2011

Storia del morbido e dell'ossuto




Sono bianco azzurro, più bianco comunque. Sto bene sulla neve e sulla brina, mentre il fango e il verde erba mi sono del tutto estranei. Non posso mettermi su queste superfici, è una questione semplice e geografica. La descrizione del luogo è importante se si vuol stare in pace, per questo la geografia è molto utile. Invece l' opinione comune ritiene sia meglio  modellare se stessi come un pezzo di burro per sopravvivere.
Io non mi adatto. Stare nell'erba è impossibile per me, non riesco a concepire il verde, colore della speranza, dicono, oh sì l'erba e le foglie, i teneri virgulti degli asparagi e del grano, l'odore dei prati, i pascoli.
A me piace stare in un angolo color sabbia senza sfumature né ombre né fili che si piegano alla brezza. Così era la terra prima che fosse ricoperta dal manto multicolore di piante. Preferisco il mondo delle rocce e dei sedimenti non perchè abbia una particolare affinità, ma semplicemente perchè esiste da molto tempo prima.
E' vero io sono morbido e pulso, ho zampe e appartengo alla categoria animale. Ma davanti alla silenziosa grandezza della pura mineralità resto abbagliato. Mi nutre. Mai assaggiato la sabbia sulla riva di un torrente ? Ha un gusto di roccia e acqua, di un mondo vuoto di cuori che pompano. Non verde non rosso, nessun dolore solo cristalli.
A differenza delle creature come me che si deteriorano e perdono se stesse in un soffio di tempo,  i minerali attraversano ere geologiche per piegarsi e cuocersi sotto la pressione di strati colossali di materia e arrivare alla metamorfosi. Per questo li ammiro.  Il mio destino è ridurmi a poltiglia in un nulla di tempo. Il mio osso invece resterà  calcio, magnesio, fosforo.  Sono assolutamente convinto, il minerale appartiene ad un ordine superiore, non sei d'accordo?
Già, non rispondi. E' naturale, un teschio è silenzioso, come il carbonato di calcio  di un picco dolomitico. Eppure quella tua espressione tutta denti potrebbe essere scambiata per un sorriso. O forse un ghigno per me. Vorrei farti notare, tuttavia, che qualcosa abbiamo in comune,  uno di qua  e uno di là,  sfondo sabbia.
Non offenderti, non intendevo dire che siamo pari. Uno morbido e caldo come me è lontanissimo dalla tua perfezione, icastica, finale. E tuttavia non sopporterei di essere rappresentato con un altro mammifero. Sono ridicolo dici?   Ad amare sassi e rocce e ossa quando dovrei annegare nella paura e nell'istinto mentre aspetto che qualcuno mi si avvicini per offrirmi  morte o copula.
Se la sento ? No. La punta è probabilmente di carbonio. Non punge. Non dà fastidio, anzi mi acquieta.
Due per me e due per te, conficcate con leggerezza di piuma. Ti fanno diverso, hai un che di metafisico.  Con queste punte che mi bucano non appaio più tanto morbido, come se la purezza della punta mi facesse diventare una materia arcaica, non verde né rossa.
Ecco, un assoluto hai ragione. Una freccia nel mio corpo pulsante, senza che esca il sangue mi ferma nel dubbio. Che si tratti di un prodigio non so, ma vedermi così trafitto senza morte o dolore, mi fa cristallino. Non credi anche tu?



giovedì 24 marzo 2011

Interferenze

Luna opposta a Nettuno

- Lo senti ora?
- Si, si lo sento, ma a che mi serve? E' lontano, irraggiungibile. Non posso farci niente. Sono impotente. Ricevo, ricevo. Mi fa male la testa.
- Allontanati dal dolore, respira con tutto il corpo, respira con tutti gli altri corpi, li senti?
- No. Sento solo che mi si sta spezzando il cuore. Smettila. Voglio dormire.
- Li sognerai e se non impari a respirarci assieme, continueranno a farti del male. Soffrirai assieme a loro, gioirai di qualcosa che non ti appartiene in quel modo. Canterai canzoni allegre nelle serate intrise della tua malinconia.
- Smettila! A me basta sentire quelli a me vicino. E' sufficiente. So che sono loro e posso aiutarli
- Non è compito tuo aiutarli. Non ha senso che tu ti rinchiuda nel tuo guscio, troppo facile cara mia! Devi sentirli tutti e distaccartene. Dammi la mano.
- Non vedo mani qui. Sento solo un gran rumore nella testa e il cuore in petto che batte di paura.
- Ahahahahahah! che carina! Ha paura Lei. Non si può parlare con te oggi. Vai a farti un paio di giri di danza va! Ne riparliamo.
Selene si era alzata incazzata nera quel giorno. Andò alla Caverna col fiatone. Aveva bisogno di ballare. Non sapeva bene perché. Era il suo corpo a spingerla. La sua mente era confusa e agitata. Ecco il tamburo, il flauto. C'era festa in giardino. Iniziò a danzare, sempre più veloce, girava e il vento si sprigionava dai suoi vortici. Le persone attorno a lei si moltiplicavano come in un gioco di specchi. Erano sempre di più. Erano gli avventori, gli abitanti, gli uomini, i pianeti. Giravano tutti in un caleidoscopio di colori e di forme. Sentì il cuore in petto grande come un universo intero. Pianse di gioia e lentamente sempre più piano, si fermò; salda al terreno. Come un fiume nel suo letto scorreva il respiro nel suo corpo. Prendendo fiato sorrise. Si addormentò. E lo sognò di nuovo. Non era mai uguale. Ma era lui. Le parlava come se si fosse sistemato dentro di lei. La voce parlava dentro la sua bocca semiaperta nel sonno. Un pizzicorino appena. Poi la sentiva sussurarle nell'orecchio:
Lo vedi bene che ce la fai. Basta attraversarlo. Lo senti bene che il dolore non è quello che ti attanagliava prima.
Felice, su quelle ultime sue note, Selene si lasciò andare al sonno profondo accovacciata nel frattempo sotto l'ombra dell' ulivo.
Dormi dormi piccolina canticchiava tra sé e sé. Gli piaceva ogni tanto fare il buon padre. Rise. Il giorno dopo le avrebbe dato il Bu! Buongiorno nel palmeto. Non gli avrebbe resistito. Non all'inizio. Ci sarebbe caduta come una polla. Si sciolse i capelli e si levò la maglia.


lunedì 21 marzo 2011

La numero 3


Antonio è un amico, che combinazione ritrovarlo qui dopo tanto tempo. Non è cambiato. Lo credo bene, non si è mai sposato. E ha preferito lasciar perdere anche la carriera e i sogni di gloria lavorando quel tanto che basta, sotto i pini, in estate... Come dargli torto... D'accordo vive in un monolocale, si sposta in scooter e non ha titoli da anteporre al cognome, ma nessun cappio al collo e tanta, tanta... ... scelta.
Eravamo appena arrivati, mia moglie va a rinfrescarsi dopo il viaggio, lui mi mette in mano la chiave e mi dice: "Fanne buon uso." Strizzatina d' occhio, buffetto tra le gambe.
E così è cominciato tutto.
...
Sono le 10. Mi guardo intorno.
Eccoti. Bianca, bianca, abbagliante, castigata nel costumino intero ma con le unghie laccate... non la racconti giusta, l'ho capito subito.
Sono due giorni che ti studio.
Stai molto attenta a non bruciarti, scegli la penombra, ti nascondi dietro a un libro o ai tuoi occhiali anni '50, ma poi anche tu sei costretta ad alzarti, perché fa tanto caldo, hai bisogno di acqua, gelida, addosso.
Ti muovi lenta mentre ti guardo.
Sotto la doccia non ti scomponi, poi torni e prima di stenderti di nuovo non resisti e controlli.
Oggi ho un libro anche io per rassicurarti e renderti più audace.
Infatti butti l'occhio mentre assorto, mi gratto.
Mia moglie non ha pace, vuole ombra. L'aiuto a spostarsi. Si mette a un metro da te.
Poco dopo vuole andare in acqua. Declino. Tu assisti.
Esce e va a cambiarsi. E' il momento. Mi sposto all' ombra anch'io, metto la mia brandina accanto alla tua.
Ora hai paura, lo avverto. Ti guardo dritta negli occhi per capire se ti piace. Resti immobile, senza fiato, ma non ti sottrai. E' fatta.
Ti lascio il biglietto e non ti considero più. Avrai bisogno di un po' di tempo per districarti nel groviglio ipocrita in cui evidentemente sguazzi.
Mangio un panino con mia moglie dandoti le spalle. Il prosciutto è buono. Recito la mia parte alla perfezione, con lei, con te, come ho fatto tutte le volte, con tutte.
Dopo pranzo mia moglie perde i sensi come un neonato, io invece preferisco il caffè e muovermi un po'...
Ti ho lasciato venti minuti per decidere, mi alzo e mi dirigo verso il bar. Per il momento niente caffè, forse più tardi, per dare un supporto olfattivo al mio alibi, tiro dritto fino ai bungalow, fino all'ultimo, prendo la chiave di Antonio da sopra lo stipite, la infilo nella toppa ed entro.
Caldo, penombra, odore di legno. Mi siedo e aspetto. Penso a mia moglie che dorme. La maniglia si abbassa. Eccoti, abbagliante. Hai fatto presto.
...
Per voi è diverso, arrivate vibranti e cariche come molle. Vi brillano gli occhi, vi trema il respiro, il cuore vi batte fin troppo forte... forse perché vi piace sentirvi sporche, sbagliate o vittime... agire nascoste, affidarsi all'ignoto, rischiare fisicamente... potrebbe succedervi qualunque cosa eppure attraversate l'ombra, abbassate la maniglia ed entrate.
Io non ho tutto questo dentro di me. L'ho cercato per un po' ma non l'ho mai trovato. Ve l'ho invidiato. Poi ho capito che l'unico modo per averlo era prendervelo.
Così vi aspetto, una dopo l'altra, nell'ultimo bungalow e mi cibo di voi, mi prendo ciò che voi riuscite a produrre autonomamente e in abbondanza e che per me invece resta un mistero.
Non ricordo i dettagli, dopo, non provo rimpianto o nostalgia, non mi affeziono.
Non ci si affeziona al proprio pasto, si mangia, si digerisce, si trae l'energia necessaria a procurarsene un altro, si espelle.
...
Il caffè di Antonio fa veramente schifo. Ma tant'è.


venerdì 4 marzo 2011

Il confine





Nettuno Luna in quadrato

La ragazza suona il campanello dello studio con dieci minuti di ritardo. 
Il fotografo apre e l' accompagna nello studio, una grande stanza semivuota, uno sgabello, fondale bianco in tessuto. Le spiega che il set ha una durata di due settimane, e riguarda alcuni esperimenti sulle lenti e la messa a fuoco. Le chiede di spogliarsi e sedersi. Non ha bisogno di assumere pose.
La ragazza si toglie il vestito nero, le scarpe, le calze, la biancheria, appoggia ogni cosa sul divano bianco. Curve morbide, pelle chiara e capelli scuri corti. Si siede sullo sgabello, con le mani appoggiate in grembo.
Il fotografo si mette dietro la macchina e comincia a scattare. La ragazza ascolta il cliccare della macchina fotografica come il dondolio di una culla.
Il ronzio degli scatti finisce, il fotografo le chiede di non andarsene e esce da una porta laterale. La ragazza sente freddo e si riveste. 
Accanto al divano bianco,  un tavolino con un vassoio di cristallo pieno di cioccolatini dalla carta argentata. Ne prende uno e lo annusa, ma lo rimette a posto. Teme di annoiarsi per due settimane.
Si avvicina alla macchina fotografica che sta dritta sul cavalletto,  guarda dentro l'oculare. Nell'inquadratura in basso qualcosa di rosso e sfuocato ondeggia in un battere di ciglia quasi all'unisono. La ragazza gira la ghiera della messa a fuoco.  Nell'oculare l'immagine diventa nitida,  al bordo inferiore mostra una fila di fragole rosse che salutano verso di lei, come turisti da una corriera. 

Di scatto la ragazza si  allontana  dal corpo nero della macchina fotografica.  
Si stende sul divano bianco,  scarta un cioccolatino e guarda verso la porta laterale.


seconda puntata


S' CIOCA



S'cioca el mar sui scoi

S'cioca la bira là de voi

S'cioca el cuor co’ riva l’amor.


S'cioca el leto co’ semo su noi

S'cioca la testa se te pensi col poi

S'cioca el dolor se xe anche l’amor.


Se la testa col poi pensa

No xe amor ma indolensa


S'cioca la bora

Pasando tra i scuri.

S'cioca la rabia,

Pasando tra i duri.

S'cioca la vita

Che xe una storia infinita


TABU' IMPAZIENTE



A IPAZIA

A


Pia Ipazia, paziente anima
meta pe' menti attente
nei tempi mezzati e mazzati
mette mente ampia in temi pieni
E' pane pe' Me, pe' Te, pe' Ei
Ampiezza mena,
teme niente ma,
Anatema!
Mette piè nei Enti:
Empie menti amanti niente:
Anatema!
A pezzi!
Attenta Ipazia!
A pezzi!A pezzi! Pezzi.
Pezzi.
Zeta




Empie menti;
Mentine nazi mai pentite nei
tempi.
Nei tempi, nei tempi,
Nei ampi tempi.
Pazza Età:
Pizza, P.M e Nizza.
Mentine empie, pe' Patemi,
Metten Anatemi e ammazzan etnie -
Menti pazze amanti niente
Ai pié né meta né mezzi né temi
ma Pizza P.M, Nizza e Patemi!

Z


martedì 1 marzo 2011

5. Del servire

il precedente


Cara Gigliola,
ho trovato. Una sera, anzi non una sera qualsiasi, ma l'ultima volta che sono uscita dallo studio della dottoressa Otile, mi sono fermata in un bar dove non ero mai stata prima. Un posto squallido, dove c'erano solo alcuni uomini che bevevano. Ho preso un calvados doppio e riempito pagine del mio quaderno, scaricando tutta quell'immondizia psichica che avevo respirato nelle ore passate dietro la scrivania. Ma forse stavolta c'era qualcosa di eccessivo di cui non sono riuscita a liberarmi. Quando mi sono alzata per andarmene, sono caduta a terra svenuta. Un tale mi ha soccorso, gentile. Mi ha riaccompagnato a casa. Per strada gli ho raccontato che ero senza lavoro. Mi ha chiesto il numero di cellulare perchè forse poteva aiutarmi. Ha chiamato dopo qualche giorno, e mi ha chiesto di occuparmi della sua casa.
Ho accettato. Mi piace pulire il caos altrui, fare ordine e chiarezza nelle cucine e nei bagni di altri. Tu dirai che non è degno di me, della mia lunga esperienza come segretaria di un' affermata psicanalista. Io credo invece che piegarsi su un pavimento e togliere lo sporco sia esattamente quello che faceva la dottoressa con i suoi pazienti. In più sento il bisogno di annullarmi, ad esempio in una divisa, con crestina bianca inamidata, grembiule candido, guanti di gomma, gonna nera. E di stare giù. Abbassarmi, cercare la parte sporca che soltanto nel servire posso trovare. Sono stanca, ho guardato per tanto tempo il cuore nero dell'umano in un elegante e raffinato studio come comparsa, addetta alle luci, sarta di scena. Sento di aver preso su di me una sorta di radiazione, che ha prodotto un danno. Non so ancora quale. Sto bene, non preoccuparti per me. Tua Claire

continua qui

giovedì 24 febbraio 2011

Tutta scorro


Luna Quadrato Plutone

Etere, ma non abbastanza.
Infatti lo sentivo trafficare nelle mie viscere.
Ricordo il silenzio.
Lavorava in penombra. Un camice insolito, lungo fino a terra, sporco di qualcosa di nero.
Lettino ginecologico, sì, perché mi vedevo caviglie e ginocchia.
Non c'era nessuno a tenermi la mano o a dirmi di spingere, soltanto quel vecchio chino sul mio baratro in attesa di vedere cosa ne sarebbe uscito.
Perdevo molta acqua dagli occhi, la sentivo scorrere brevemente giù per le tempie, stava formando ormai una piccola pozza dentro ogni orecchio.
Era alquanto fastidioso.
Tentai di asciugarmi, scoprii di avere i polsi legati, decisi di chiedere al vecchio.
"Potreste asciugarmi le orecchie? Vi prego."
Si alzò venendo a tamponarle con delle garze candide.
Quando le tolse notai che erano fradicie di quello stesso liquido nero che inondava la sua strana veste.
Riacquistai l'udito ma il silenzio permaneva prepotente... o forse no... in sottofondo un fiume.
"Cosa mi state facendo? Perché mi trovo qui?"
"Sei qui per trovarti. Tranquilla, non ti faccio nulla, anche volendo non potrei."
"Sto partorendo? Non ricordo di essere stata in attesa."
"Stai facendo uscire te stessa, sarà molto doloroso e alla fine la parte di te che sta soffrendo ora, morirà."
"Che ne sarà di me? Cosa resterà?"
"Non puoi saperlo."
"Liberatemi, non voglio."
"Non ostacolarmi, è del tutto inutile, il modo è questo, accettalo."
Rumore di cascata, le gambe non c'erano più.
Il nodo rimaneva mentre il polso si scioglieva.
Guardai il vecchio: "Fa tanto male." dissi.
"Lo so. Arrivederci."





haiku del poi

E tutta scorro
nera, nubile, nuova.
"Arrivederci."



martedì 22 febbraio 2011

Pini




prima puntata
Un mare con le onde brevi e il luccicare di specchietti che abbagliano sulla superficie dell'acqua, a qualche passo dalla pedana di legno dove sono distesa.  Anche adesso. C'è troppa luce a quest'ora,  preferisco l'ombra sotto i pini marittimi. Meno profumo che al mattino presto. Si sta bene. Un rumore leggero di aghi mossi dalla brezza calda che viene da sopra il mare. Un nulla con gusto di sale. Quando lui tornerà tra poco, chiuderò gli occhi e subito dopo li riaprirò come se mi fossi svegliata da un sonno ignaro.  Il costume marrone si sta asciugando.
La natura se ne infischia di noi. La natura è troia e infeldele. Le formiche entrano ed escono mille volte da un buco di tana, noi guardiamo commossi i paesaggi.  Il nuotatore notturno non ritorna indietro dalle onde nere.  Non credo che la. Io sto nel quadro e aspetto in silenzio all'ombra.  
Loro non se ne sono accorti, anzi. La mia presenza ignara. Il desiderio. Anch'io. L'uomo che accompagno, la donna dal costume intero attillato. Quando ho visto. Io guardo la natura. Con distrazione simulata, ho creato come un crepaccio. Signora, vuole unirsi a noi? Quello che piace alle donne in presenza di donne con maschio. Il prosciutto era molto buono. Il mio confine si dissolve, sono corteccia, sono aghi, sono vuoto torace. Se preferisci l'ombra, stai. La fedeltà non è mai stata per me.  Claudine sotto il grosso consigliere si riempie di, e come  bambini grande Dio, sente grande e lontano il suo amore. Ore. Lei mi ha accarezzato con la mano la schiena, in mezzo agli ospiti quella sera. Anch'io. Privato. Negare sempre. 

mercoledì 16 febbraio 2011

Il glucosio di Biancaneve





flash back
La donna dal costume intero si alza. Il sole è alto a mezzogiorno, una leggera brezza increspa onde brevi. Aria calda grava sul cemento dello stabilimento balneare, ombra sotto i pini marittimi che si protendono bassi e obliqui sopra i bungalow. Guarda davanti a sé il mare, poi a destra. Sul bordo vicino all'acqua un uomo legge steso su una brandina con lo schienale rialzato, un grande asciugamano color fucsia pende ai lati. L'uomo solleva leggermente la testa dal libro aperto che regge con una mano, i loro sguardi si incrociano.
L'attenzione è cominciata da quando sono arrivati la donna in bikini marrone e l'uomo con la brandina. Hanno scelto un posto vicino al bordo vicino all'acqua, lei su una pedana di legno, lui allineato dietro ha aperto il lettino e steso l'asciugamano. Con una rapida occhiata ha individuato qualche metro più in là la figura slanciata di una donna dal costume intero non abbronzata, sola.
Al mare si fa così, ci si guarda attorno, tra vicini di posto, soprattutto quando fa caldo. L'uomo sulla brandina guarda il corpo con il costume intero qualche metro più in là, mentre la donna che lo accompagna si spalma la crema e si stende a prendere il sole.
La donna con la pelle bianca e il costume intero attillato, resta in piedi esitante sotto lo sguardo dell'uomo che segue le sue mosse. Decide. Prende la borsa da mare e raggiunge la zona ombreggiata sotto i rami dei pini marittimi, sistema le sue cose sopra una pedana libera, si muove lentamente, sente il corpo amplificato dallo sguardo estraneo, che la esplora, lusinga la sua femminilità, la avvolge con insistenza. Non è più un muoversi naturale, ma un tendersi, e piegarsi a qualcosa che rende diverso il passo di un piede, l'abbassarsi di un braccio, il socchiudersi della bocca. Il suo corpo risponde, come guidato dalla presenza maschile che vuole. Lo spazio che divide lei dall'uomo sulla brandina non è più una vera distanza, ma una materia tattile, che copre il vuoto dello spazio e arriva fino a lei, toccandola.
L'uomo sulla brandina si passa una mano sulla braghetta da mare, grattandosi. Un rapido tocco conferma il discorso appena iniziato dallo sguardo, che batte come un'eco sulla pelle bianca.
E' la presenza della donna in bikini marrone ad alzare il gioco tra la donna dal costume intero e l'uomo sulla brandina. Un qualcosa disonesto, un gesto che ruba furtivo.
La donna dalla pelle bianca distesa sull'asciugamano arancio allunga le gambe mollemente, appoggiandoi ai gomiti. Sente più densa la pelle del seno, i capezzoli che si rilevano, le gambe leggermente discoste, il corpo ha già deciso, si protende. Il sole stanca.
La donna che accompagna l'uomo ha il bikini marrone, bassa di statura, abbronzata, cosce grosse, meches bionde, capelli tenuti raccolti da una pinza alla nuca, occhiali da sole grigioverdi, e lunghe sopracciglia nere che quasi si uniscono al centro, si alza, inarca la schiena, si china e dà un bacio leggero sulla guancia dell'uomo, gli chiede qualcosa, si volta dove l'ombra degli alberi copre una larga striscia. Raccoglie borsa e asciugamano e si sposta nella zona ombreggiata. Anche l'uomo si alza e aiuta la compagna a spostare le cose, poi se ne torna sulla brandina al sole, riprende il libro, si guarda attorno, inglobando nello sguardo la donna in costume intero dalla pelle bianca.
La donna dal costume intero ha osservato le manovre dell'uomo e della donna in bikini. Ha indugiato sul corpo di lui, muscoloso, la braghetta nera aderente, il rigonfiamento in mezzo, il contorno un po' appesantito alla vita, capelli corti d'un rossiccio un po' grigio, occhiali da sole, abbronzato. La donna che l'accompagna in bikini marrone scende dalla scaletta in mare, si volta e invita l'uomo, lui dice no.
Dopo un po' torna dopo un po' fuori dall'acqua . Si asciuga, prende un altro costume dalla borsa da mare, e dice due parole all'uomo, si avvia agli spogliatoi per cambiarsi.
Passa un minuto e l'uomo si alza, solleva la brandina e la sistema all'ombra, vicino al èposto della sua compagna, a un metro la pedana dove sta la donna dalla pelle bianca. Le sorride e abbassa tutto lo schienale, si stende a pancia in giù. Adesso sono molto vicini. Lui prende il libro e legge, la guarda di sbieco.
La donna dal costume intero sente improvvisamente un timore e una piccola ansia per quello spazio che si è accartocciato e la costringe a richiudersi in qualche punto dove si era troppo aperta prima, quando la distanza esisteva ancora fra lei e l'uomo della brandina.
Lui riprende a leggere, e dal libro estrae un biglietto, allunga rapido la mano verso l'asciugamano della donna, senza dire nulla.
Un attimo dopo la compagna dell'uomo è di ritorno, si siede e prende dalla borsetta frigo dei panini. L'uomo si mette seduto accanto a lei sull'asciugamano. Mangiano e parlano, il prosciutto è molto buono dice la donna in bikini. L'uomo non si volta più dalla parte dove sta la donna dalla pelle bianca.
Un precipitare di realtà dopo il gioco della distanza. La donna dalla pelle bianca prende il biglietto da sotto l'asciugamano, legge “ti aspetto in fondo ultimo bungalow”. Ripone il biglietto nella borsa, si distende. Aspetta e ascolta il cuore accelerato, l'aria calda attorno al suo corpo come stanco prima di una salita. Non sente alcuna resistenza a quella forza che la trascina da una parte, la spinge. Il corpo segue, ma un'altra parte, un contorno indistinto che si allenta e si piega, la porta a obbedire a quell'invito come fosse un ordine. .
La coppia ha finito di mangiare i panini. L'uomo dice qualche cosa alla compagna in bikini, si alza e si incammina dalla parte dove lo stabilimento continua in fondo. La donna dalle sopracciglia quasi unite al centro chiude la borsa frigo, e si mette distesa girandosi leggermente sul fianco verso gli alberi, dove l'ombra è più densa..
La pelle bianca non può aspettare, deve andare. Si alza e ripone l'asciugamano nellla borsa, guarda la donna dal bikini marrone che sembra addormentata. Le fa sentire il respiro sottile e affilato il trovarsi nell'agire nascosto, con l'altra a cui sottrarre il maschio, rubare. E' quella donna con le sopracciglia lunghe quasi unite al centro, che rende il suo alzarsi e andare come un fragore. Guardandola si chiede se sia un finto sonno il suo, se in realtà si sia accorta di tutto, e anzi li abbia guidati tenendo i fili del gioco come si fa con le marionette e i pupi.
Si lascia alle spalle quel pensiero e la pedana ombreggiata, sentendo di abbandonare al medesimo tempo il luogo puro e bianco dove ha creduto di starsene in disparte, a guardare il desiderio scorrere lontano, dov'è rimasta a lungo ferma, a nutrire fantasie con gli scarti di una realtà mediocre. Un glucosio di Biancaneve che ha steso un gusto dolciastro e asciutto al suo stare con il corpo teso e rinchiuso al mondo. Il caldo e la troppa luce, lo spostarsi repentino dal sole all'ombra, premono come un peso sopra il suo bianco puro e dolce, lo sfaldano.
Arrivata alla rampa di scale che porta agli spogliatoi e all'uscita, continua diritto. Il respiro è rapido, il corpo si muove come stordito, il petto è contratto. La donna dal costume intero arriva agli ultimi bungalow dello stabilimento. Laggiù in fondo l'ultimo. Si avvicina alla porta, appoggia la borsa, abbassa la maniglia ed entra. Semibuio e caldo dentro, si gira e lo vede. Lui afferra stringendola a sé, le sue mani toccano i seni e scendono giù al sesso. Un bacio profondo come se volesse berla, la spinge contro la parete di legno e preme con tutto il corpo su quello di lei. La donna dalla pelle bianca ha il respiro corto, e non riesce a fermarlo quando le abbassa il costume intero fino ai fianchi, si inginocchia davanti a lei e lentamente glielo sfila dai piedi. Lei ha un grido nella gola. “No” le sussurra l'uomo nell'orecchio.

lunedì 14 febbraio 2011

Bonus Malus


Sole Quadrato Urano

Continuava a chiamarmi nel cuore della notte: "Dammi ciò che mi devi" diceva "o faccio saltare tutto."
Credevo di aver raggiunto un livello in cui potevo finalmente evitare di mentire e prendere una pausa dalla paura, ma avevo esagerato con l'autodifesa e nella smania di rendermi inespugnabile mi era sfuggito un errore di valutazione. 
Risultato: avevo arruolato un folle.
Era stato cantante rock, scultore, hacker e artificiere.
Pensai che con quei trascorsi sarebbe stato abile a prevedere ed arginare l'imprevisto, infatti mise in piedi un sistema di sicurezza ineccepibile ma... ebbe a che dire sul contratto.
Ci fu una negoziazione estenuante poi sembrò accettare il compenso e per un po' tutto tacque.
Finché non cominciò con le telefonate: "La situazione potrebbe precipitare in qualunque momento, attento a quel che fai..."
Non era accaduto ancora nulla di grave e probabilmente non sarebbe accaduto mai, era capriccioso, dispettoso e forse anche un po' bugiardo, ma non sembrava capace di spingersi oltre.
Cambiava continuamente la posta in gioco, non voleva il mio denaro né nulla di ciò che negli anni mi aveva chiesto.
Quando mi presentavo agli appuntamenti lui non c'era mai, mi contattava qualche tempo dopo con una richiesta diversa.
Se decidevo di ignorarlo metteva in atto qualche fastidiosa rappresaglia.
Cominciai a uscire sempre meno per paura di rimanere imbrigliato in uno dei suoi trabocchetti, mi ritrovai a moderare l'iniziativa e ridurre le attività perché sicuramente qualcosa sarebbe andato storto, mi convinsi che ogni atto avrebbe comportato un imprevedibile prezzo da pagare.
La valutazione del rischio divenne il mio pensiero dominante, mi assorbiva al punto da farmi trascurare azioni, intenzioni e fini.
Con tenacia uguale e contraria egli continuava a lasciarmi intuire complicazioni sempre nuove.
Andammo avanti così, in scacco perpetuo, senza decretare mai un finale di partita.


sabato 12 febbraio 2011

Haiku servito freddo





Ora capisci
le mie sciocche ragioni.
Piccola fitta.





domenica 6 febbraio 2011

Mito-storia




Il vecchio re Atamante rimaneva sempre chiuso nelle buie stanze del suo palazzo. Aveva stretto un alleanza segreta con una potenza sotterranea, ma in cambio di potere e ricchezza era stato confinato a vita nelle stanze del suo palazzo, senza poter mai vedere la luce del sole. Pesanti tessuti oscuravano le finestre, mentre torce perennemente accese illuminavano le stanze. Le cinque figlie del re invece amavano il sole, e trascorrevano tutto il giorno a giocare sulla spiaggia che costeggiava la dimora reale, sempre scortate da un grande toro nero. Il motivo di questa presenza non era mai stato svelato alle fanciulle, che avevano accettato il guardiano, anche se preferivano rimanere ad una certa distanza. Solo Taureia, la più giovane delle figlie,  osava avvicinarsi  con curiosità.
Un giorno il re annunciò alle figlie che sarebbero giunti a palazzo i  pretendenti per sostenere la prova dell'arco, superata la quale si sarebbero celebrate subito le nozze. Ma Taureia voleva che nulla cambiasse nella sua vita. Quel giorno sulla spiaggia arrivò a pochi passi dal toro guardiano, nei cui occhi  vide  balenare un riflesso dorato. Indietreggiò confusa e scappò via ritornando dalle sorelle che giocavano.
L'indomani si presentò a palazzo uno straniero, alto con i capelli ambrati che non aveva mai tagliato, chiedendo di sostenere la prova dell'arco e la mano della figlia più giovane. Il re acconsentì. La prova consisteva nel colpire tre bersagli posti a grande distanza nella vasta sala del trono rischiarata soltanto dalla luce vacillante delle torce. Il giovane centrò i tre bersagli al primo colpo.
Taureia si sentì perduta e fuggì dal palazzo. Fuori  trovò il toro che davanti a lei  s'inginocchiò e la prese in groppa. L'animale partì al galoppo e corse all'impazzata fin dove la spiaggia terminava dove  alte rocce cadevano a picco sul mare. Si diresse sicuro verso un punto ed entrò in una grotta che si apriva con una volta altissima, sotto la quale stava un trono vuoto. Taureia si sentì al sicuro, e stanca delle emozioni si distese dove la roccia era più liscia e si addormentò. Sognò  lo straniero dai lunghi capelli ambrati che le faceva cenno di avvicinarsi, negli occhi dell'uomo brillava sinistro un riflesso.
Si svegliò spaventata. Cercò di alzarsi in piedi ma si accorse con orrore di non avere più piedi ma zoccoli. Si mise sulle quattro zampe e notò che al posto del trono c'era un toro bianco con le corna ornate da una filigrana d'oro che scendeva come una chioma fino a terra. Disperata si infilò in un cunicolo che si apriva negli anfrattti, e non si fermò fino a che il passaggio sbucò fuori, sulla spiaggia. Poco distanti le sue sorelle stavano  silenziose senza giochi. Corse verso di loro chiedendo aiuto con i suoi muggiti. Le fanciulle accolsero la vitella che piangeva e commosse la portarono a palazzo.
Il vecchio re se ne stava cupo e irato per la fuga della figlia più giovane, e oscuramente temeva la vendetta del suo potente alleato segreto per le nozze mancate. Come vide l'animale e le figlie, il suo cuore gelò dal terrore. Si avvicinò e riconobbe la luce dorata che brillava negli occhi della vitella.
Il sovrano cadde in ginocchio colpendosi il petto e imprecando. Ordinò ai servi di tirare giù tutte le pesanti tende che oscuravano le finestre e di spegnere le torce. I servi eseguirono in fretta, e come la luce del sole inondò le sale del palazzo, il vecchio re si accasciò a terra coprendosi gli occhi, annichilito dai raggi, mentre la vitella cadde su un fianco restando immobile. Dalle spoglie dell'animale uscì Taureia che abbracciò piangendo le sorelle. Il toro guardiano non si trovò più.
Il palazzo divenne la reggia delle cinque principesse che amavano l'aria e il sole. Il trono rimase vuoto perchè non appena qualcuno, re o regina , vi si fosse seduto avrebbe immediatamente evocato l'alleato sotterraneo che sarebbe ritornato per oscurare la reggia con la sua cupa luce dorata.

martedì 1 febbraio 2011

Gusto e artificio


Arriva il momento in cui è necessario andare sopra le righe e deporre pantofola e gambaletto.
Intimo come intimità, vellure, epidermidi, sfiorati contorni. Molti si dedicano al bricolage, alla poesia, all'ikebana. Voi scegliete come hobby l'intimità, fatene un progetto, stabilite i vostri obiettivi i tempi i costi. Ma fatelo.
Nero o colorato? Una signora di gusto non ha incertezze. Non c'è altro colore che la notte più scura per addentrarsi nell'Ombra. Nessuna eccezione. Il rosso da capodanno è tollerato soltanto se fate la barista di un saloon. Uno strappo è consentito per il leopardato fine, d'inverno, e sotto un tailleur o un abitino smilzo.
Come dice il poeta, l'apostrofo è ciò che conta. Pertanto i complementi sono apparentemente “accessori”. Si può dire forse che un paio di guanti neri lunghi al gomito siano un sovrappiù? Naturalmente no. Potete anche indossare un completino da piccola fiammiferaia, ingrigito dalle lavatrici e molliccio agli elastici, ma con i guanti neri lunghi l'effetto sarà puro Tiffany. Brillante.
Se amate lo stampato floreale, scegliete l'iris o il tulipano, ma per carità non roselline o margherite. Vi piacciono i contrasti? siate Trilly a Pigalle. Niente fiocchi o lustrini tra i capelli. Non accostate mai il rosso e il nero, neanche al circo o nell'arena. Una scelta ottima sono le parrucche colorate e i cappellini con la veletta. Per un effetto bomboniera, avvolgetevi in una nuvola di tulle rosa pansè o blu elettrico a cannolo, sotto il minimo indispensabile, sottile e in pendant. Un tocco scintillante saranno gli orecchini a spaghetto o il braccialetto in strass.
Gli effetti indesiderati sono da valutare con grande attenzione. L'arte del così-basta è sottile, difficile, evolutiva. Sarà applicando quest'arte che vi distinguerete da un carro allegorico. Accostare le preziose trasparenze, le velature per le gambe, i cappellini e il cannolo di tulle, è come accendere un caminetto. Attenzione all'effetto barbecue.
Avrete sicuramente visto il generoso padrone di casa incatenato alla griglia per ore sudato mentre gli invitati si godono spiedini e costine. Ecco, siete giunte ai fornelli dell'intimità, rosse e arruffate,  pronte, e poi niente piattino per voi.
Accade perchè  l'artificio vi conduce fuori dai vostri limiti, come una sostanza psicotropa. Forse pensavate alla parrucca un po' girata, il tulle vi ha distratto, o non avete seguito il vostro istinto fino in fondo e vi trovate a metà strada, ancora troppo civili e poco Ombra. Non preoccupatevi. Ci vuole esperienza per essere rilassate ed aprire il sé grinzoso al nuovo, al vasto altro-da-sè. Se per una volta il gioco non avrà prodotto su di voi granchè, lasciandovi al palo, consolatevi. Guardate: la compagnia che avete scelto per esercitare il vostro hobby d'intimità scoppietta contenta come un bel caminetto.
Allenatevi. Il gusto dell'artificio per dispiegare i suoi doni deve grattare via strati su strati di moncherie e sloggymondo,  E' tanto ma alla fine vien via. Sarete soddisfatte di notare che il vostro sguardo a poco a poco cambia ed assume quella brillantezza scura che avete inseguito. 





lunedì 31 gennaio 2011

Storia dell'alto e del basso










Stavo parlando con la segretaria quella mattina. I problemi sono tanti e quotidiani, ed avere qualcuno con cui parlarne è sempre utile. Mi ha mostrato il nuovo sistema di entrata e uscita  che il suo ufficio ha provveduto ad installare. Un portello basculante 20x20 in alluminio, posto a quattro centimetri da terra. Ha fatto una prova davanti a me,  appoggiandosi al bordo con le mani, si è tirata su e spingendo con la testa,  è passata dall'altra parte, dove sta  la sua stanza di  lavoro.  Poi è ritornata fuori in corridoio, con la stessa facilità. E' molto agile perchè ha solo 16 centimetri, dai piedi fino alla cima della testa. Io ne ho 20, e mi muovo più lentamente. Avendo l'attaccatura delle mani proprio alle orecchie, è avvantaggiata rispetto a me che le ho più basse. Per noi senza corpo i capelli non sono  una questione di poco conto. I suoi sono di un bel color rame intenso, scalati e folti,  ma un po' toccano il pavimento. Io invece li tengo a caschetto, sempre ben tagliati per non tirare su la polvere. La messa in piega li gonfia,  producendo un effetto vela, e quando cammino non sono spedita.
Noi senza corpo siamo ricercati dalle ditte e dagli uffici perchè siamo pensiero e azione. L'azienda deve apportare alcune ovvie modiche, come la scrivania o il telefono o l'attaccapanni, ma il tutto è disponibile nei negozi di giocattoli. Ci deve essere una porta apposta per noi,  con lo stesso sistema per far uscire ed entrare i gatti da casa,  non costa neanche tanto. Non c'è bisogno d'altro, nè macchinetta per il caffè, nè servizi igienici, nè sedie. Per il  nostro sostentamento basta acqua zuccherata all' 1.5%. Stavamo appunto chiedendoci  io e la segretaria se prendere una tazzina d'acqua insieme, quando è successo.
Se la giornata è interrotta da un evento imprevisto, è molto serio. Nella nostra condizione siamo sensibili agli eventi improvvisi. Il giorno è come la trama di un tessuto dove i fili si intrecciano ordinati, e se interviene qualcosa di traumatico, i fili si spezzano e qualcuno di essi vaga nel vuoto. Il nostro equilibrio ne resta toccato. Non avendo corpo, non siamo in grado di controbilanciare i traumi con la massa. Essere pensiero e azione significa non avere le interferenze  tipiche somatiche, e questo ci rende molto apprezzati.  E' una condizione privilegiata, ma ha i suoi aspetti negativi.
Quando all'improvviso è arrivata di corsa quella donna, e trafelata ci ha detto di chiamare un'ambulanza perchè una ragazza era caduta dal tetto, è stato un colpo.
La segretaria si è infilata subito dal portello basculante per andare a telefonare e chiedere i soccorsi, mentre io ho scambiato due parole con la donna.  E' difficile parlare con qualcuno guardando in basso il pavimento, lo so. Al contrario io non ho problemi,   guardo sempre negli occhi la persona con cui parlo, e questo tranquillizza molto.
Ho chiesto alla donna di raccontarmi l'accaduto. Aveva visto una ragazza camminare sul tetto di coppi,  con degli scarponi assolutamente inadatti, molto grossi e piatti. Ad un tratto era scivolata sulle tegole, non era riuscita ad aggrapparsi al cornicione,  ed  era andata giù. Siamo rimaste ad aspettare l'arrivo dell'ambulanza, perchè non c'era altro da fare. La segretaria ci ha raggiunto  passando svelta attraverso il portello basculante ed è rimasta a guardarci inquieta da dietro i suoi grandi occhiali con la montatura verde scuro.
Mentre si aspettava in silenzio, mi domandavo perchè andare a passeggiare sul tetto con un corpo e scarpe inadatte. Quelli che hanno corpo tendono a salire e a fare cose incongruenti,  l'ho già notato. A loro piace l'alto, il panorama, il sovrastare. Penso sia una conseguenza dell'avere una massa tra la testa e i piedi. Noi che ne siamo privi, non abbiamo mai il pensiero di salire. Loro invece sono portati per le cose contraddittorie.  Sto raccogliendo delle prove in tal senso,  mi piace studiare i normali. Ho domandato anche a quella donna se le piaceva l' alto. Naturalmente sì,  abitava al sesto e ultimo piano. 
All'improvviso ho visto la trama e l'ordito di quello che era accaduto. C'era un disegno, come in un tappeto, ma nascosto tra fatti apparentemente slegati. Avevo bisogno di fare due domande alla donna.
Aveva forse visto qualcosa di artistico la sera prima? Sì, rispose, in un gelido teatrino off off. Aveva cenato dopo, molto tardi,   in un posto alto, tipo soffitta o mansarda? Sì, mi disse sgranando gli occhi in basso verso di me.   Ma come avevo indovinato?  L'alto e la sua fenomenologia è il mio campo di ricerca. Ho una mia teoria.