martedì 30 novembre 2010

Appena sotto ai tuoi passi


Casa V in Bilancia contesa da Scorpione, Plutone in entrata, Urano in Bilancia.

Un labirinto sotterraneo. Una vera e propria città piena di strade che s'intersecano ma finiscono sempre per arrivare alle molteplici porte da cui entra luce. E tutte le aperture ad arco danno sul baratro. Si aprono nel baratro; sulle sue pareti rocciose, scoscese.
E' una gola molto larga ma non molto profonda. La luce arriva sino al fondo sabbioso dove qua e là spuntano delle piante verdi. Sul fondo c'è un pozzo attrezzato e la porta d'accesso principale.
A sentir parlare Mr P, inquilino per scelta e attitudine, il luogo era il palazzo reale degli antichi plutoniani. Ogni venatura nella roccia brillava della loro essenza. Ma si sa, Mr P non era sempre così presente. Spesso preferiva scapparsene dalla porta superiore, un pertugio che si apriva all'inizio del bosco soprastante.
A sentir parlare la gente del villaggio vicino era un luogo fatato dove mani gentili ogni mattina per anni avevano portato acqua e cibo per gli uccellini, terra per far crescere fiori profumatissimi che continuano ad attirare api, farfalle e scarabei.
Sembra si trattasse in realtà della splendida architetto, la donna libellula di cui parlavano le fiabe del luogo. Quest'essere premuroso non si arrese mai davanti alla complessità del posto e nonostante le erbacce continuassero a far capolino e sempre nuove gallerie venissero scavate da talpe e formiche durante la notte, ogni mattina all'alba arrivava, solidificava, strappava, curava, dirottava e nutriva. Morì lì, in una di quelle stanze che si aprivano in ogni galleria. Sulla terra soprastante, da allora, la natura rigogliosa diede il meglio di sè.
Oggi quando si arriva in questa radura sul finire del bosco si viene magicamente attratti da un basso vibrato che esprime gli armonici in ogni sua nota. E' la musica a farti avanzare, a farti scoprire il baratro con le sue gallerie e aperture.. poco innanzi.
Mr P occupava le stanze sul fondo.. quelle più buie
Urich invece occupava i piani più alti, appena sotto i tuoi passi....
[continua...]

Storia della cosa tonda




 
“Una carezza e un cucù dalle scale? Tutto qui?” chiese Nastrino color albicocca seduto sul divano, annoiato dalla conversazione.
“Non c'è altro.” disse Cipria sconsolata, lasciando cadere una lettera sul pavimento, e adagiando le curve sul cuscino.
“Cose che capitano.” fece Nastrino tanto per dire qualcosa, mentre con sguardo distratto percorreva il profilo sinuoso di Cipria. Una linea morbida intercettava la sua attenzione, distraendolo.
“Non ricorda nulla di me.” disse Cipria, sentendo un impalpabile disagio, come se una piumetta sporca le fosse caduta addosso da chissà dove. Nastrino cercava di spostare gli occhi altrove mentre parlava, ma cedeva a quel rotondo che sprofondava nella soffice imbottitura di piume.
“Sarà intimidito. Tutto qui.” avanzò il color albicocca, appoggiandosi su un fianco, in modo da essere più vicino. Si teneva a rispettosa distanza dalla cosa tonda, che gli sembrava curvasse l'aria attorno. Pensò che tutti gli spigoli, gli angoli acuti e ottusi che premevano il mondo, venissero sopraffatti e schiacciati a pureè da quella forma armonica.
“Forse, ma non ricorda. Di me. Niente.” sussurrò mestamente Cipria, e arretrò in modo impercettibile per ripararsi dalle occhiate del color albicocca che calavano più fitte su di lei, come le prime gocce di un temporale.
Nastrino rimase in silenzio e si aggiustò sul divano in modo che la distanza fosse appena un soffio. La curva del contorno di Cipria era vicina ed emanava cerchi armonici nell'aria, come fa un sasso buttato nell'acqua.
“Posso abbracciarti?” proruppe Nastrino che ormai aveva perso ogni interesse a continuare quella conversazione. Voleva stringerla, anzi strizzarla. Far tacere l'ottimismo sguaiato della forma. Ben costretta, avrebbe finito di fare candore tutt'intorno, e già pregustava il piacere di vederla legata come un salame.
Un brivido percorse Nastrino che fissava l'armonica curva senza più ascoltare altro. La cosa tonda si alzò di scatto dal divano.
“Nastrino, sei uno stupido! Adesso devo scivolare giù fino in strada, per mettermi in salvo.” disse Cipria rotolando su un fianco, asciutta e senza lacrime. E si dileguò.
Nastrino albicocca restò a bocca aperta, basito dalla preda che scompariva in un lampo. Si era proteso per avvolgerla stretta con giri e giri intrecciati, fino a disegnare sulla cosa rotonda segmenti di angoli acuti e di angoli ottusi, e far silenzio.
Guardò dalla finestra, fuori era l'alba e gli spigoli intonavano il loro verso stridente nell'aria chiara del mondo. Sospirò.

Geometrie e terremoti


Casa IV  in Vergine, Plutone in Bilancia sulla cuspide d'uscita.

Ermete disse Sì, senza pensarci su. L'aver ottenuto quell'appalto lo esaltava più di quanto non si vedesse. Quale onore, quale magnifico e nobile lavoro lo attendeva: progettare una casa di famiglia.
Certo era un lavoro di responsabilità, per un attimo tentennò. Ne sarebbe stato all'altezza?
Quella notte la sua mente tracciò linee sulle pareti del sogno: pareti, porte, scale. Il mattino mentre beveva il caffè scribacchiò velocemente sul suo taccuino le idee e le immagini che erano venute a trovarlo poco innanzi mentre gongolante era ancora disteso nel letto. Si recò in ufficio, poggiò il taccuino sulla scrivania e venne sommerso dal solito brusio di telefoni, segretarie, richieste, appuntamenti. Dott. Ermete, Le dispiacerebbe rivedere il progetto della piscina per disabili? ma certo che no. E' richiesta la sua presenza ai lavori sul lago. Si certo.
Un'ombra lo rabbuiò. Non avrebbe dovuto accettare quel nuovo appalto. Non ce l' avrebbe mai fatta. Signorina, telefoni la prego e rimetta in gioco il dottor Virgilio per la casa di famiglia. Ah signorina.. Mi faccia il favore di prendere un appuntamento con lui, voglio consegnargli il taccuino riposto nella scrivania, con i miei appunti a riguardo. Grazie.
Si sedette, finalmente solo; chiuse gli occhi. L'entusiasmo era scemato vertiginosamente. Prese le cartelle dei vari progetti in fieri accatastati per terra a fianco della scrivania, guardò le scadenze. Non poteva lasciarsi andare. Si mise al lavoro. Una cosa per volta... forse ce l'avrebbe fatta.
Il giorno dopo mentre stava meticolosamente preparando un plastico, apprese che il dottor Virgilio non poteva assumersi quel compito, rinunciava all'appuntamento e all'appalto e che se ne avesse avuto bisogno il collega sarebbe stato disponibile solo tra qualche mese.
Posso farlo e lo farò. Nell'urgenza si riesce sempre a creare al meglio!
Qualche tempo dopo...
Ermete camminava rumorosamente sul pavimento in marmo lucido del salone al primo piano. Le piastrelle erano state poste in modo talmente preciso che al primo colpo d'occhio pareva trattarsi di un'unica grande lastra. Le scanalature erano assenti. Certo non era tanto luminosa ma le grandi finestre aiutavano. La scala a chiocciola con passamano in ferro battuto, stile liberty era stato l'unico suggerimento di Virgilio. La scala portava alla taverna con accesso al giardino. C'erano tante stanze e un bagno enorme. L'effetto finale era un po' freddino ma lui sembrava non accorgersene, stava già pensando al nuovo lavoro in città.
C'era riuscito. Anche la casa di famiglia era stata ultimata. Alle rifiniture ci avrebbe pensato il proprietario che sarebbe andato ad abitarla. Non era riuscito a scoprire chi sarebbe stato.
Mr P amava i grandi spazi ma odiava le grandi finestre. Non raccontò mai a nessuno di quella casa. Era stata la prima; ci si era piazzato per un po', aveva fatto mettere delle tende alle finestre e ci aveva fatto dei festini top secret. Ben presto però decise di spostarsi. Non riusciva a sentirsi a proprio agio e continuava a sognare qualcosa di più composito, un' ambiente più confortevole e curato. Un pavimento meno scivoloso, una privacy maggiore, una maggior libertà di movimento: lì si sentiva come un elefante in un negozio di cristalli.. troppe stanzette, soffitti bassi, materiali troppo lucidi e delicati. Troppe linee troppo precise, voleva una torre rotonda grande non quella scaletta a chiocciola striminzita che ti faceva fare sempre lo stesso giro.
Un giorno semplicemente quelle linee lo fecero innervosire più del dovuto. Uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Dietro lui rimase la tanto amata opera di Ermete appena un po' incrinata nella struttura.


domenica 28 novembre 2010

Storia del buio e della luce



Un pipistrello aspettava tutto il giorno il calare del sole per uscire di casa. Per tutta la giornata se ne stava rintanato con gli occhiali scuri e passava il tempo a disegnare. Ma non appena arrivava il tramonto, toglieva gli occhiali e faceva il bagno alle ali per volare meglio. Quando l'oscurità era completa, spiccava il volo mentre tutti si rifugiavano nelle case illuminate, impauriti dal buio. Lui invece volava su e giù nell'aria scura, felice come un matto. Ma doveva stare molto attento quando la notte finiva, perchè se avesse visto un solo raggio di sole, sarebbe diventato un mucchietto di cenere.
Una notte mentre scorazzava contento, vide uno scintillio provenire da una finestra aperta. Si avvicinò incuriosito e si posò sul davanzale. Un piccolo diamante era stato messo lì ad asciugare dopo aver fatto un bagno per brillare meglio. Il pipistrello restò affascinato da quel brillio, tanto che era tentato di rubarlo e portarselo a casa. Ma si sentiva intimidito da quella luce così bella, e rimase a guardarla  incapace di avvicinarsi. 
Le ore della notte passarono, e il pipistrello incantato non si accorse che il primo raggio di sole stava per sorgere. Qualcuno si affacciò alla finestra, prese il diamante ormai asciugato, e vide lì accanto un mucchietto di cenere, che soffiò via come per spegnere una candela. Il mucchietto di cenere se ne andò, portato da una brezza leggera, felice come un matto nell'aria chiara del giorno.

mercoledì 24 novembre 2010

Humus



 
Casa Decima Scorpione

Sono inerte e ricoperto. Non devo fare nulla, solo stare fermo. La terra è soffice, gessosa. Sembro morto e invece sono concentrato, tranquillo. Il buio è riposante, ascolto i rumori.
Anche se non ho carne, ho una certa forza.  I miei tessuti sono bianchi, ed è strano come all'inizio della vita ci sia roba piccola, bianca, opaca che sta al buio. 
Chi potrebbe seriamente prendere in considerazione un seme grasso?
Un becco. Il mio unico e vero nemico vola, ha due zampette corte,  penne e piume e piume.
C'è qualcosa di più rivoltante di un uccello? Neanche un topo o uno lombrico. Per fortuna sono ben sotto e al sicuro, ma se per disgrazia fossi alla superficie, sarei spacciato. Sono voraci, ingordi, e non masticano. Glup e giù in un colpo. Loro volano, io odio quell'aria,  le brezze, le bave e gli aliti di vento, le folate. Cosa c'è di più grato e inesauribile della terra marrone e polverosa? L'aria non si coltiva, non nasce nulla dalla sua materia.
Il mio odio non è soltanto motivato dal fatto che sono cibo per i volatili. Ho un'idiosincrasia per l'aria, le molecole di ossigeno in primis, anzi la parola stessa "ossigeno" mi fa rabbrividire. Mi figuro masse e masse, enormi, e bitorzolute, che si spostano come gigantesche palle di grasso nell'olio atmosferico. Aereo è un frainteso.
E che dire delle piume? L'essere ricoperti da quella roba disposta in file ordinatissime, impermeabili, ripiegate. Trovo sconcertante avere l'apertura per nutrisi dura e appuntita. Che l'uccello sia un essere inferiore è chiaro dagli occhi. Infatti ti guarda spostando la testa di lato, quindi percepisce a metà ogni cosa. E' un occhio freddo il suo, non esprime nè affetto nè rabbia, è vitreo.
L'unica versione che sopporto è l'uccello morto. Steso rigido, col becco chiuso e le penne strette,  con pazienza diventa humus anche lui. Questo pensiero è per me di grande soddisfazione, dato che gli uccelli sono esseri superbi. Sebbene usino il suolo per riposarsi, sono del tutto estranei alla dimensione terrestre.
Purtroppo esistono. Non vorrei sembrare eccessivo o impietoso, ma li cancellerei tutti. Lascerei soltanto qualche esemplare di fenice, ben distribuito. 
Cosa c'è di più piacevole di un uccello che incenerisce? Non l'ho mai visto, ma per fortuna l'ho sentito pare incredibile ma una fenice è atterrata qua vicino. In reltà si è schiantata con gran fracasso. Poi silenzio, un lieve crepitio e un aroma, non la puzza acre di  penne bruciate, ma qualcosa di brioso, sinfonico. Tuttavia devo confessare che quell'odore di fenice bruciata mi ha turbato, e un po' ho temuto per i miei tessuti, che non devono subire alcuna smorzatura. Sono un seme, io. 

martedì 23 novembre 2010

Una tentazione irresistibile

Casa III in Leone, vuota.
Un vasto parco dei divertimenti con gazebo aperti e chiusi in stile liberty si estendeva su di un prato con alberi, laghetto e castelletto.
Sotto i gazebo suonavano a rotazione orchestre, gruppi rock, solisti virtuosi e si esibivano i vari ospiti in performance di danza e spettacoli teatrali.
Gli scivoli sull'erba e sull'acqua erano la gioia dei bambini. Nel castelletto si potevano visitare sale dedicate a ogni genere di arte, un centro multimediale con internet point dove, si poteva scegliere tra cabine con telefoni a tasti o a ghiera, entrambe dotate di comode poltrone e mensola per bibite. Settimanali, quotidiani ed una vasta scelta di libri erano consultabili nella sala retrò con libreria e scrittoi vecchio stile per chi preferisse la scrittura cartacea da spedire tramite i piccioni viaggiatori chiusi nella voliera di fronte all'entrata.
Data la vastità del parco era stato previsto un trenino elettrico che collegava i vari luoghi e degli schermi su cui venivano proiettati i programmi degli eventi.
Una voce profonda si diffondeva ricordando quanto stava per accadere e dove.
Era facile arrivarci, facile perderci la cognizione del tempo. Il proprietario, anche se lontano provvedeva a tutto con gran lungimiranza e magnificenza.
Era più forte di lui, prendersi cura di quel parco lo faceva sentire un re.
Una tentazione irresistibile.

domenica 21 novembre 2010

La scatola sperduta



Casa II, Cancro con spruzzatina di Leone, vuota.

Un bunker futuristico, un cubo di metallo, forse di qualche lega si ergeva isolato in una piana appena collinosa. La sua forma squadrata spiccava tra tutte quelle dolci curve anche se era stato costruito nella parte concava del paesaggio.
Scendendo e girandoci intorno si notava un' unica porta aperta tra pareti che da vicino non erano omogenee come potevano sembrare dall'alto: erano coperte di muschi e licheni.
Non era in uno stato di abbandono, forse appena un po' trascurato. Una scala a pioli esterna in metallo portava sino al tetto sul quale avrebbe potuto atterrare un elicottero.
Per entrare si doveva passare attraverso una solida porta a vetri che anche se era spesso aperta non veniva oltrepassata dai più grazie all'aspetto poco invitante dell'edificio.
Aveva qualcosa che ricordava anche i magazzini delle vecchie miniere forse perché, appena mimetizzate dalla terra, si intravvedevano ancora delle rotaie; seguendole con lo sguardo non era difficile immaginare un viavai di carrelli metallici cigolanti.
All'interno, il vuoto del piano terra lasciava spazio ad un primo livello straordinariamente ricco di oggetti insospettabili per un posto del genere: ordinatamente appesi in lunghe file si vedevano vestiti di ogni foggia illuminati dalla luce naturale che filtrava attraverso degli oblò.
Al secondo piano ci si ritrovava in un vero e proprio salotto completo di ogni comfort, dalle poltrone ai tavoli, dai quadri alla televisione; non mancava né il telefono, né il computer e da lì si aveva accesso al resto dell'appartamento, funzionale ma avvolto in assurde tappezzerie e vaporosi tendaggi color pesca. La cucina era ricca di ninnoli e cimeli sparsi per i vari ripiani.
Non era abitato, solo abitabile. Era stato costruito in modo lunatico da qualcuno che si era perso in corso d'opera nei suoi pensieri, nei suoi ricordi, o che forse solo per pigrizia non era riuscito a concludere il progetto iniziale. Chi era ? un uomo? una donna abbandonata piuttosto che una donna in fuga? un figlio ribelle? Quel che è certo è che ogni tanto questo qualcuno in qualche modo continuava ad apportare dei piccoli e casuali cambiamenti, oggetti, colori, stoffe, fotografie, lettere.. e lo faceva con discrezione, probabilmente la notte. La luce del sole non vedeva la sua ombra.

venerdì 19 novembre 2010

Del lontano



Casa Nona Bilancia Nettuno

Nebbia nitida ai confini di B... Guardiamo oltre i finestrini, avvolti nelle coperte perchè nello scompartimento fa freddo. C'è odore di mela e minestra acida. I sedili duri di legno con un tavolo ribaltabile, stretto e smilzo al centro, su cui abbiamo un piatto con quattro pere e due pezzi di formaggio. Nel termos il  tè che abbiamo comprato da un venditore ambulante alla stazione.
Il treno attraversa boschi di betulla innevati, il cielo è bianco. Ancora un giorno,  e dopo le slitte con i cavalli per portarci a K. Siamo assorti a guardare fuori. Passare due anni sulla linea di confine.  Non siamo spaventati, ma parliamo poco, il silenzio ci risparmia.
Siamo partiti in dieci perchè è il numero che ci permette di uscire dalla nostra zona morta. Mangiamo soltanto cose in numero pari, che siano pere o formaggio o pane, e questo perchè il treno non basta per compiere il viaggio. Lungo il percorso ci sono delle membrane, dei fili intrecciati che devono essere recisi se si vuol proseguire. I numeri pari sono i nostri coltelli, fendono la foresta intricata dei fili, i veli traslucidi che ingombrano la via. Senza, è un' illusione pensare di  raggiungere un posto lontano.
Al nostro terzo giorno  siamo inquieti. I nostri occhi stanno cambiando, e per certuni questo si manifesta con dei bruciori, per altri con una sensazione di corpi estranei. La mente fatica a spostarsi, e a volte finisce per rinunciare, anche se il corpo continua il viaggio. Molti pensano che basti salire su un treno per  viaggiare, pochi sanno che è l'inerzia a permetterci di andare. Bisogna assecondarla. Solo così si può veramente partire, senza pensare a ciò che abbiamo lasciato dietro, e senza la nostalgia che rende incerti e paurosi i nostri passi nel lontano.

mercoledì 17 novembre 2010

Flickener's wake



PERSONAGGI

Bù Sufflè, fotografo
Ot Lì, fotografo
Kopot, fotografo
Tank Erox, presidente con valigia
Bercio, fotografo
Melonia , fotografa
Lenor, pittrice morta
Ugh Pir, pittore vivo
Croupier Turco

Una stanza con un tavolo da roulette, tutti sono seduti in circolo e sono pronti a giocare. Il croupier tiene il braccio alzato con la pallina in mano.

CROUPIER TURCO: Rien ne vas plus! (sorride ma resta immobile con la pallina in mano)
UGH PIR: Vas plus un corn! (sdegnato mette un piede sul tavolo da gioco). Tira la bal, tanghero.
LENOR : Mon petit chatton, tu fè le krusciof adorable, mais lass le turc en paix ( si raddrizza l’acconciatura altissima con un gatto di peluche mauve in cima).
UGH PIR: Mia signora, soltanto quando il tandul farà ciò che dico. Non può usare la palla alla turca, non lo può fare qui da noi.
BERCIO: Signore, Lei esagera. La palla islamica è apprezzata nel nostro entourage, mi creda, molto più che la palla nazionale.
OT LI’: (tiene le braccia stese sul tavolo da gioco, facendo le corna su due numeri) Non posso stare qua come un salame, ho altro da fare (sogghigna). Non aspetto i tuoi comodi, maiale! Tira sta bal.
(Il croupier sobbalza, ma rimane immobile con il braccio alzato e la pallina in mano)
KOPOT: Non arrabbiarti ti prego, non arrabbiarti ti prego. (si liscia la coda del frac). Avanti turc fa ciò che ti chiede il mio amico ( sospira).
TANK EROX :  Muoviti turc belìn, ho da prendere un treno.
UGH PIR:  Tu resti dove sei, presidente, tanto qua o là è uguale.
TANK EROX: Ah no, ne ho abbastanza, presidente un pesto ( prende la valigia) Ho un treno da prendere, io.
LENOR: (dolcemente) La prego, non ci lasci così,. Le mostrerò quei disegni che le piacciono tanto, Lei mi capisce ( apre un’enorme borsa rosa a forma di gatto e tira fuori dei disegni, che reinfila subito dentro).
TANK EROX Sono onorato signora, ma vede, non posso restare, ho da prendere….. (sbircia i disegni con  attezione avida ).
MELONIA: Farò una foto, farò una foto. ( fotografa)
BERCIO: Anch’io anch’io (fotografa)
BU’ SUFFLE’: Che noia, ma quando questa pallina, turco della mia nonna, vorrai tirare. Che nebbia c’è qui. C’è del marcio, mi pare, mi sento strano, assai strano.
OT LI’ : Se non tiri sta pallina ti tiro il collo come a una gallina (cade riverso sul tavolo addormentato secco)
KOPOT: Ecco lo sapevo, ma  perché fai sempre così. Troppo impegno artistico (sospira)
UGH PIRR: Quello di arte non capisce un frutto tropicale. Cara, non credi anche tu? (si rivolge alla pittrice)
LENOR: Mon chatton, mon petit tresor stalinien. Ma presidente, perchè ci lascia ? ( e si accarezza la borsa)
TANK EROX: Ma io non lascio nessuno, ho soltanto da prendere un treno ( mette la mano nella borsa rosa della pittrice e tira fuori un disegno) Oh sì, questo sì spacca ( lo rimette nella borsa). Allora tiri che si fa tardi, turchino birichino?
BERCIO Non le permetto di rivolgersi così a questo cripiè, fa il suo lavoro, se ha la bontà di cacciare la sfera dove si deve. (rivolgendosi al croupier) Lo faccia, avanti, non vede che cresce il razzismo nel nostro entourage.
CROUPIER TURCO: Intanto si dice crupiè (sorride con il braccio alzato e la pallina in mano).
BERCIO : Nel nostro entourage no. Non è vero? (rivolgendosi a Melonia)
MELONIA: Turco in Italia, perché non fai quel che ti chiediamo? Sei un ingrato. (posa la macchina fotografica sul tavolo) Non farò una foto.
BERCIO: Anch’io (posa la macchina fotografica sul tavolo)
UGH PIR: Il turco è amletico, ecco perché. (rivolgendosi al presidente)
TANK EROX Ma io che c’entro, scusa? Perché mi guardi?
UGH PIR: Uno che fa il presidente c’entra sempre.
CROUPIER TURCO: C’est vraie. Je suis amletique.( resta immobile con il braccio alzato e la pallina in mano, sorride)
LENOR: Continui la prego, mi piace tanto. (accarezzandosi vistosamente la borsa rosa)
TANK EROX: Signora, Lei è una pittrice morta, non lo può fare, eros e thanatos, qua davanti a tutti, la prego. 
LENOR: Lei che ne sa, scusi ? ( senza smettere di accarezzarsi la borsa rosa)
TANK EROX: (guarda l’orologio grande e piatto al polso)......adesso non ho più tempo….
HUGH PIR Sì, lo confermo.
BERCIO: Nel nostro entourage è molto noto (annuisce)
MELONIA: Molto noto (annuisce)
KOPOT: Molto noto (annuisce)
OT LI’ (svegliandosi) Ancora voi! Ma che rottura! Dove sono le mie corde? ( si riaddormenta di botto sul tavolo)
KOPOT: Lo sapevo. Troppo sforzo artistico. Povero amico, è veramente esaurito ( gli massaggia i bicipiti).
BU SUFFLE’: Perché mi sento così strano, in questa strana atmosfera. Che nebbia!
KOPOT: Non saprei (sospira), è che il croupier è amletico, così ci danimarca tutti, e io lo so cosa vuol dire, lo so bene. ( si liscia la barba e annuisce)
BU SUFFLE’: Io non so cosa vuol dire, so soltanto che mi sento assai strano.
TANK EROX: ........non ho più tempo, devo prendere un treno. Addio. (esce con la valigia)
TUTTI : Arrivederci, presidente (coro).
CROUPIER: this is the question ! ( lascia cadere la pallina nella roulette).

SIPARIO




martedì 16 novembre 2010

Ermes e Selene



Casa I in Gemelli si espande in Cancro, vuota.



Stava lì.
Arroccata in cima alla scogliera.
Sembrava dominare imponente l'intera vallata, la spiaggia, il mare. Vi si saliva attraverso un sentiero tortuoso, completamente bruciato dal sole nell'ultima parte.
Ma una volta arrivati in cima c'era lì ad accoglierti un prato ben curato, in piano, ombreggiato qua e là da tigli, sambuchi e una magnolia. La facciata era curiosamente moderna, tra le pietre di un antico castello e le vetrate da astronave. Si poteva sentire l'odore e il rumore del mare sottostante.
Suonammo. Aprì una signora dai lineamenti gentili e dagli occhi grandi. Era la custode. Non viveva lì ma ci passava più volte alla settimana.
Si, poteva farcelo vedere. Gli ambienti erano spaziosi, quelli opposti all'ingresso che davano sul mare erano da mozzafiato. Pareti di vetrate appena mascherate da tende bianche cangianti. Comode poltrone e tavolino essenziale sul pavimento d'acero. Prese per la corrente abbondanti e una libreria a soffitto con scala scorrevole in legno.
Ci raccontò che il proprietario era un giovane architetto che l'aveva progettata da sé ma quando era arrivato il momento di rifinirla, aveva rinunciato ad abitarla. Troppo solitaria la posizione. Aveva preferito un appartamento nella più movimentata città.
Chissà che intendeva con “rifinirla”, c'era persino una postazione PC con stampante. La seguimmo nella stanza da letto: un'atmosfera soffice, soffusa ti avvolgeva immediatamente. Sulla parete una foto antica di una bellissima donna .. assomigliava vagamente alla custode.
La cucina era fredda e funzionale lungo il perimetro della stanza ma al centro troneggiava un tavolo in legno massiccio molto rustico. Il tutto dava il capogiro. Ti lasciava spiazzato. Aveva sicuramente una logica ferrea per quanto riguarda la funzionalità, ma la diversità degli stili ti sconcertava.
Non era in vendita. Il proprietario si riservava il diritto di tornare a sua discrezione.
La custode amava trattenersi lì ogni tanto .. così a guardare il mare facendosi cullare dalle onde che si infrangevano sulla scogliera... dimentica di tutto.. persa tra le onde nella brezza.


Portrait





Casa Ottava Leone Vergine Plutone Giove

“Tra un minuto avrò un infarto” pensa, ma continua a lavare il pavimento. Odore di parquet laccato di fresco, lampadine nude appese a un rotolo di filo che si attorciglia come un nido al soffitto.
5 dicembre, le cinque del pomeriggio, buio, 5 gradi, freddo secco. E' deciso, dormirà la prima notte nella casa nuova, il letto pronto, qualche provvista, i vestiti invernali in armadio. La vecchia credenza anni cinquanta, le sedie di legno pitturate di bianco, il tavolo di marmo.
Due tizi se ne stanno seduti in cucina. Uno tiene sulle ginocchia  una scatola di biscotti all'arancia ricoperti di cioccolato, capelli folti, corporatura robusta, maglione blu, pantaloni blu,  pelle morbida, mani morbide, bocca morbida. Occhi mobili scorrono le pareti, i mobili, le finestre e ritornano ai biscotti. Si distrae, mangia un biscotto. Accanto, uno lungo e secco, capelli corti brizzolati, pelle segnata, baffi sottili grigi, giacca di tweed, pantaloni sportivi, legge un libro senza mai alzare lo sguardo. Si ignorano.
“Tra un minuto avrò un infarto”, pensa la giovane donna. Il cuore se lo sente in mezzo a due ganasce, di quelle che riducono un' auto a un pacchetto di sigarette. Ma continua a tirare su la polvere.  I due in cucina non li vede nè li sente, perchè ascolta soltanto la morsa nel suo petto.
“Tutte sciocchezze – dice il mangiatore di biscotti – sono sicuro non le succederà nulla”.
“Lei che ne sa - ribatte l'uomo magro e grigio - Forse un infarto è una bella esperienza.”
“Dolorosa e non utile dal mio punto di vista. “
“La necrosi è uno straordinario lavorio chimico, pieno di vitalità.” osserva il grigio.
“Soffre la piccola, non le fa compassione ?”
“Ne riparliamo tra 15 anni.”
“So che ce la farà, ma lo stesso mi sembra una lunga prova per una creatura. Lei, signore, non capisce nulla di cose morbide e piccole.”
Ha finito di pulire. Sistema nel ripostiglio la scopa, mette il secchio con lo straccio bagnato fuori in terrazzo, dà un'occhiata  intorno, spegne la luce, chiude la porta con due giri di chiave. Domani.

Boa

 
Casa Settima Cancro Luna Urano


"Basta con queste piume!"
"No, ti prego, lasciami almeno quello rosso"
"No,  li butto tutti."
Raccoglie dal pavimento una montagnola multicolor di boa, li mette in uno scatolone. Esce sbattendo la porta del boudoir, scende in garage, prende una tanica di benzina, ammucchia tutto sul prato dietro la casa, accende. In cinque minuti il falò è spento, resta una palettata di cenere fumante. Torna dentro, ma prima prende la cassetta degli attrezzi in garage. Risale le scale, entra nel boudoir.
Piagnucola sotto il  piumino imbottito, con disegni di pesci e stelle marine rosa, distesa su un fianco, un fazzolettone bianco in mano che tormenta con le dita. Quando l'altro rientra, sobbalza leggermente e lo segue con lo sguardo.
"Dove eravamo rimasti?
"Non so, non mi ricordo." -  dice mentre sistema il piumino più aderente al fianco.
"Il letto non va più bene."
Prende il blackedecker e lo avvia, comincia a passare la lama  sulle colonnette a tortiglione che reggono il baldacchino di tulle verdeacqua, una alla volta.
"No, no, ti prego fermati." -  dice  lanciando gemiti e squittii.
Senza più sostegno, un ammasso di tulle si adagia sul letto e la ricopre completamente. Improvvisamente silenzio, nessun gemito, nessun sospiro.
"Ti fermi qui stasera?" -  una vocina trepida esce dall'ammasso -  "Ho preparato l'anatra laccata."
"No. Detesto il cibo cinese."
"Come vuoi, ma non è solo cinese." La vocina è flebile, sempre più flebile sotto l'ammasso di tulle, finchè  un ultimo squittio si spegne, seguito da un ronfare leggero e verdeacqua.

domenica 14 novembre 2010

La tela






Non dovevano. Dal momento che erano finite lì, non potevano che accettare. Era inutile chiedere, non glielo avrebbe mai concesso. Se c'era qualcosa che non poteva sopportare erano i respiri. 
Oscillando se ne andava su e giù a riparare i fili della tela, mentre pensava alle sue vittime. Erano necessarie, ma lo irritavano con le loro pretese. Una volta presa, doveva piegarsi e stare ferma. Muta soprattutto. Volevano sentire qualcosa? Non più, non dove si trovavano adesso. Le voleva così, immobili e docili. Le addentava, un breve assaggio, poi si fermava per sentirne bene il sapore. Bisognava diluire, ritardare perchè il bere da una vittima fosse appagante. Prenderle a brani, tutto in una volta, non gli piaceva. Era l'avanzare lento che confondeva la vittima, le sembrava quasi  fosse un gioco, un piccolo anticipo indolore, così si abbandonava, più molle e aperta.
Che una vittima volesse sentire tutto in una volta il piacere di essere divorata, non lo sopportava perchè così diminuiva il suo. E non era disposto a rinunciare, non si era mai visto un divoratore mettersi a contrattare. Doveva essere allontanato, quanto più possibile,  quel piacere,  perchè lui potesse concentrarsi sull'attimo in cui affondava la bocca nella tenera sostanza della vittima. 
E poi in quanto vittima, doveva rinunciare alla sua essenza vitale, cederla a lui, senza agitarsi. Lo sbrano era la celebrazione,  una morte per quanto piccola, non era una festa con l'albero della cuccagna su cui arrampicarsi e beccare il prosciutto più grosso. Disprezzava il loro desiderio di condividere, ne era deluso perchè capiva che la vittima non possedeva una vera anima sacrificale. Era sempre più raro trovarne.
Rammendava il lato sud della tela con questi pensieri amari nel cuore. Le prede usavano tanto la parola "naturale", tutto doveva essere "naturale".  A lui non interessava la  natura. Amava la cerimonia,  i gesti  lenti, il tempo dilatato, l'artificio. Nutrirsi di una preda per lui non era mangiare. Niente di più lontano dal soddisfacimento schietto e immediato di un bisogno. Se avesse potuto avrebbe accompagnato quel momento con un suono assordante di strumenti e mille nastri colorati,  come usavano sugli altipiani orientali.
C'era da fare il lato nord, adesso,  pensò oscillando sui fili della ragnatela.

sabato 13 novembre 2010

Picnic al cimitero


Casa VIII in Toro, vuota.

Sebbene l' hotel sorgesse sopra ad un antico cimitero, (in giardino si intravvedeva ancora lo spigolo di qualche pietra tombale ricoperto dal muschio) nessun soggiorno venne mai rovinato da incidenti soprannaturali indesiderati.
Le camere, confortevoli e insonorizzate, garantivano nottate appaganti qualunque fosse il modo in cui si volesse trascorrerle.
I pasti, rigorosamente a buffet, erano serviti all'aperto e spesso i clienti sceglievano di consumarli seduti sull'erba a mo' di picnic.
Mai nessuno lamentò improvvise folate gelide o inquietanti sussurri notturni.
I morti si dimostravano ospiti squisiti, sopportavano serenamente il continuo andirivieni sulle loro teste, gioivano delle risate dei vivi e palpitavano per i loro sussurri amorosi.
Non avevano alcun interesse a spaventare chi ogni giorno rischiarava la loro monotona esistenza sotterranea.
I tramonti erano sempre spettacolari lassù, i clienti vi assistevano cenando affrettandosi a salire in camera non appena si faceva buio per non rubare nemmeno un minuto all'ebbrezza dell'intimità.
Era allora che i morti uscivano, quando i vivi, ubriachi di cibo, d'amore, e di bellezza non avrebbero mai potuto accorgersi di loro. Riordinavano veloci tutto quello che era stato messo fuori posto e allestivano banchetti lussureggianti per il giorno dopo.
Poi tornavano sotto, a godersi le briciole.




venerdì 12 novembre 2010

Il gruista


Alle cinque del pomeriggio ha finito il turno. Scende lentamente la scala a pioli della gru. Nel container che fa da spogliatoio si toglie la tuta, il casco, i guanti, le scarpe. Ripone tutto con cura nell'armadietto, si riveste. Tutti si salutano in fretta. Prende l'autobus alle 17 e 20, scende alla terza fermata, svolta nella prima laterale a destra, dove sta il bar. Si siede al suo solito tavolo, ordina una birra, estrae dal giubbotto un libro, lo apre dove sta infilato il segnalibro. Vorrebbe leggere, ma le chiacchere e le risa degli avventori lo distraggono. A quell'ora ci sono uomini che come lui hanno finito di lavorare e vengono a farsi un bicchiere prima di tornare a casa. C'è Senhal, il muratore piccolo e smilzo di origine basca, che ammicca col mento appuntito, e ride quando gli altri non ridono alle sue battute grevi; con lui c'è Famal, l'idraulico grosso e baffuto, viso color porpora e uno spiccato accento basco che rende difficile capire di cosa parla. Accanto ai due, ma un po' discosto, il signor Pinault, l'elettricista, magro e taciturno, mani bianche con dita lunghe e disarticolate da orologiaio. Attorno tavoli e sedie di legno scuro, lucido e consumato dagli anni. In fondo a sinistra, sotto una pubblicità ingiallita di cognac, un tavolo che di solito è vuoto perchè troppo stretto. E' occupato. Una donna. Non l'ha notata subito entrando. E' raro vedere una donna di quel tipo nel suo bar, un posto senza fronzoli, con le pareti in perlinato fino a una certa altezza, e i muri di un colore indefinibile. Il tipico posto dove a mezzogiorno si mangia, e dove rimane sempre un odore di minestra e spezzatino . L'unica donna che compare regolarmente è la cuoca, la signora Paline, di origine basca, piccola e larga, gli occhi infossati in un viso tondo e grasso, mani rosse che asciuga continuamente sul grembiule. Spunta all'ora di pranzo, mette fuori i piatti sul bancone, e ritorna in cucina senza dire mai una parola. Altre clienti sono per lo più donne anziane che abitano là intorno, e vengono ogni tanto a bere un aperitivo con qualche amica, come la signora Marceline, maestra in pensione, e l'amica, sulla quale Senhal fa battute per far ridere gli altri, che non ridono, perchè la signorina Lorette ha una sorta di collinetta sulla schiena, ma a tutti fa comodo che venga ogni tanto. 
La donna seduta al tavolino, invece, non si è mai vista. Sta china su un quaderno e scrive. E' secca, ma con un busto florido, capelli biondo cenere raccolti in uno stretto chignon, paltò beige, mani piccole e secche. La faccia è contratta, con linee sottili attorno agli occhi. Ha posato la penna, si guarda attorno. Sul tavolo davanti a lei c'è un bicchiere vuoto. Per un istante incrocia lo sguardo con un uomo seduto a un tavolo di fronte, con un libro in mano. Chiude il quaderno, lo mette nella borsetta, si alza, scosta la sedia, si dirige alla porta, ma improvvisamente si affloscia, e cade a terra, stesa. L'uomo con il libro scatta subito oltre i tavoli, le prende il polso. Regolare. Senhal grida al banconiere di fare qualcosa, mentre ride e fa battute sulle donne che svengono.
”Come sta?” le chiede.
”Non è niente, adesso mi alzo.” risponde la donna cercando di alzarsi.
“Aspetti.” la solleva per le braccia, la fa sedere su una sedia vicino.
“Dovrebbe mangiare qualcosa, forse” le dice.
“No, grazie”- risponde la donna guardandosi attorno - “Ho dato un bel disturbo.”
“Ha bisogno di qualcosa, le chiamo un taxi, signorina....”
“Claire. Signorina Claire” risponde prontamente - “ Aspetto un po' prima di andare, ma vorrei ringraziarla, signor.......?” chiede la donna educatamente.
Silenzio. Non risponde, si guarda le scarpe. Ha letto da qualche parte che le donne guardano due cose negli uomini. Le scarpe, una, appunto. I suoi scarponi grigi sono rovinati sulle punte, le spighette annerite. Guarda le scarpe della donna, decoltè blu con tacco, calze senza colore, forse nudo, i piedi uniti, ginocchia strette. Il silenzio continua. Non sa che dirle. Ci vorrebbe una parola, adesso, il più presto possibile, ma proprio la necessità di parlare lo svuota.
“Si sente male ?” chiede la signorina Claire – vuole un cordiale?” dice educatamente aggiustandosi il foulard azzurro con teste di cavallo marroni. Il silenzio dura. Senhal ha finito il suo calice di rosso, prende a braccetto Famal mimando un passo di danza, escono. Resta Pinault, che legge imperturbabile la gazzetta dello sport in piedi, sorseggiando una birra. Il banconiere, un giovane trentenne con la barba rossiccia e basette a cespuglio, asciuga i bicchieri e guarda il pavimento.
“Se volessi parlare, parlerei” - riesce finalmente a dirle.
“Bene. Cominciava a preoccuparmi.” dice la donna, e fa cenno al banconiere - “Un calvados. Ne vuole anche lei?”
Lui ordina una birra.
La signorina Claire beve un lungo sorso di calvados, e lo appoggia al tavolo schioccando con la lingua. Lui beve piano la sua birra. Ogni volta che avvicina una donna, vorrebbe essere un'altra cosa, le calze di Claire, ad esempio, o il suo foulard azzurro. Sente il proprio corpo inutilmente atletico. Sente il profumo di lei, Bandit. Il silenzio è lieve. La signorina Claire ha il bicchiere vuoto, mentre il suo è a metà.
“Bevo solo quando ho fame” osserva lei dolcemente, e fa cenno al banconiere indicando il suo bicchiere vuoto. Il ragazzo arriva con la bottiglia, riempie il bicchiere, torna dietro il banco..
“Più sto in basso, più ho le vertigini” - risponde lui. E' l'effetto della gru, ma questo preferisce non dirlo.
“La capisco.” - dice la signorina Claire educatamente, dando un gran sorso, dopo il quale schiocca la lingua...
( continua )

Patè masquerade





Casa Quinta, Toro, Mercurio

La scalinata scende al parterre, dove le torce accese illuminano il bosso tagliato con le sagome di enormi conigli, delfini e pellicani. A destra, la fontana con Venere nella conchiglia, a sinistra Ade che abbraccia la kore. Il pendio scende in pastini, digradando dolcemente verso l'aranceto e le vasche dei pesci, dove delle reti ad imbuto sono appoggiate per chi voglia servirsi di una carpa fresca.
Il buffet è collocato in un finto casino di caccia, sfolgorante di luce per l' imponente lampadario a cristalli di Boemia. Al centro del salone lunghe tavole infiorate coperte di lini inamidati che scendono fino al pavimento. Alzate di cristallo ricolme di frutta brinata, arabeschi di petit fours e canditi da passeggio, tazze di porcellana con cioccolatte.  L'aria è satura di  caprifoglio e d'alloro, e porta il suono delle gavotte che i musicisti  intonano sul palco montato vicino al roseto. Gli invitati non si vedono ancora, eppure sembra che mani invisibili  sfiorino le coppe di vetro e le preziose stoviglie filettate d'oro zecchino.
I musicisti si alzano, ripongono strumenti e spartiti, se ne vanno. Due figure mascherate compaiono sul palcoscenico, a sinistra una dama in vestito di velluto blu notte, a destra un cavaliere dal largo mantello nero di seta lucida. A passi lenti si avvicinano al centro della scena, rallentano, esitano. La donna apre con un gesto il corsetto e appare un seno bianchissimo e pieno. Il cavaliere avanza verso di lei, la  sfiora con il mantello sul fianco, si china e le bacia il seno. La dama estrae dal corsetto un nastro di raso blu elettrico che consegna la cavaliere, ed esce di scena. Il cavaliere fa cadere a terra il mantello, e resta a petto nudo, bacia il nastro,  e tenendolo tra le dita si accarezza. Le luci si spengono.

Panorama umile




Casa Sesta Gemelli, Venere

La  casa da lontano sembra rosa e verde, i colori preferiti della nostra ospite, la signora Venere. Sta in cima a una collina che digrada dolcemente nella rigogliosa campagna, dove sorge una famigliola di casette simili. La vista che si offre attorno è il punto della questione. Otto finestre, due per ciascun lato, dalla prima all'ultima, offrono in teoria 360 gradi schietti di panorama. Passiamo molte ore alle finestre, passando dalla prima all'ultima, e studiamo. Le finestre sono dotate di un accrescitore al mercurio grazie al quale sul fondo retinico della persona che si affaccia, appare l'oltresimile,  a moltiplicazione.
Ci esercitiamo alle finestre di giorno, di notte, e in tutte le stagioni,  dato che la macchina funziona costantemente. Fa un rumore leggero, che rilassa come fusa di gatto, che a certuni non piace.
Una volta al mese arriva la nostra ospite, la signora Venere,  che ci incoraggia a tenere sempre in funzione l'accrescitore al mercurio, perchè ci permette di avere una visione vasta e morbida. La signora si sposta sempre con una compagnia nel suo beauty case,  i conigli di un centimetro, e le anatre e i cigni tascabili. Non appena arrivano in visita, ci diamo da fare in cucina per preparare cibo adatto, tenero. Abbiamo notato che non appena entrano in casa, l'aria profuma di pane appena sfornato. E' un fenomeno che si presenta soltanto con lei e la compagnia. La signora ha dato un nome a questa singolarità, la chiama "panorama umile", e ci ha spiegato che è una reazione dell'accrescitore. La morbidezza in più, dovuta alla compagna dei piccoli amici e sua propria,  fa effetto alla macchina che esala un profumo di modestia, intenso come un pane biondo.
Dal momento che la macchina è costantemente accesa, siamo in un certo senso obbligati a vedere cose in più fuori dalle finestre. Ma non dobbiamo preoccuparci se un giorno svegliandoci, vediamo anche noi stessi con qualcosa in più, come ad esempio più gonfi da un lato. E' l'effetto passeggero della nostra visione prospettica aurorale. Siccome l'aurora ritorna con una deliziosa ripetititvità, noi siamo tranquilli. 

Minestra




Casa Quarta, Toro, Mercurio

Mi hanno lasciato qui sulla poltrona. Loro sono andati a mangiare fuori. Io non posso. Il padrone di casa  con la scusa che gli dava fastidio il rumore, mi ha fatto un taglio tipo marines, a spazzola. Per me è impensabile uscire così, perchè è come se non avessi niente addosso.
Il padrone di casa è uno che ama la casa, è giovale, ma può arrabbiarsi per un nonnulla. Però gli piace ballare, ha il senso del ritmo. E' stato subito chiaro che io dovevo darmi una regolata, come ripeteva sempre. Alla fine è stato lui a farlo, nel senso che ha preso le forbici e ha tagliato.
Si mangia abbastanza bene qui, si dorme, c'è il riscaldamento, e se hai bisogno di un paio di scarpe o delle calze, tutti sono premurosi. Ti portano spesso dal dottore per controllare la tua salute. Ma l'importante è che tu non faccia rumore, anche piccolo. Le mie ali appunto, non è che siano poi così rumorose.
Ma era proprio il fatto che mentre loro stavano discutendo attorno alla tavola dove si era cenato o pranzato, io mi facessi un voletto così, per andare a vedere fuori. Questo non andava bene.
Finchè un giorno è arrivato con le forbici, e mi ha fatto il taglio a spazzola. Ricrescono, adesso le ho basse basse, ma dura poco. Però non mi piace dover ricominciare tutto daccapo, sorridere e restare chiuso,  come a nascondino. Penso che resterò in camera mia, sulla poltrona fucsia che mi sono comprato per corrispondenza. Più tardi guarderò dal balcone  i pipistrelli che fanno rifili alla casa.
Io capisco bene chi vola, e quando avrò una casa tutta per me, non ci metterò tanti mobili, solo lo stretto necessario, per avere spazio. Sono consapevole che qualcosa mi rimarrà del posto dove mi tocca abitare adesso, lo so. Ammetto possa dare fastidio che quando faccio i miei voletti, io sia distaccato. Infatti il padrone di casa mi ha rimproverato di non fare le cose che fanno loro, per esempio di non aver  pianto quando loro hanno pianto. Tuttavia non sono mai stato beffardo, è che ho un'altra visione, e se piango lo faccio più tardi, da solo.
Al padrone di casa devo riconoscere una qualità che a me manca,  il gusto per la felicità patrimoniale, perchè anche se ho dei soldi, non so trasformarli in oggetti comodi. L'unica cosa che ho comprato è stata la poltrona, per corrispondenza, perchè nei negozi  le ali non sono ben viste. 






mercoledì 10 novembre 2010

Le vasche N

 

Casa Seconda,   Aquario e Pesci

La luce ha una tonalità indaco che vira lentamente al blu, e cola sulle pareti.  Righe brillanti compaiono per pochi secondi nel fascio luminoso. La rotazione dei proiettori è accompagnata da una colonna sonora di musica per triangoli e arpe. Nelle vasche le creature marine hanno tutte la stessa dimensione  ma colori diversi.
I fenomeni più frequenti nelle vasche sono legati al suono. Quando i triangoli intonano scale armoniche, i pesci si dispongono a ventaglio nei colori dell'arcobaleno,  con un effetto spettacolare. Invece, con il suon delle piccole arpe,  i pesci di colore giallo si dispongono al centro, ed eseguono una cerimonia disegnando con le pinne dei tracciati. Non appena la musica si spegne, rimangono in trance per qualche ora,  immobili e disposti  in linee rette. I pesci verdi a righe hanno invece proprietà magnetiche, se si avvicina un oggetto metallico al vetro delle vasche,  si appoggiano con il fianco in quel punto. 
Le vasche sono note per la particella N. Stando in questo luogo si è pervasi da una chiara sensazione.  di attesa, ma non come alla stazione o in coda alla posta, dove è tempo morto. Qui la sensazione non è più la stessa perchè accade qualcosa al tempo morto. Quando il visitatore entra e gira negli ambienti,   non aspetta nulla, e tuttavia dopo un poco comincia ad aspettare senza avere una ragione per farlo.
Il fatto è causato dal particolare fenomeno che si produce in queste vasche, la riduzione del tempo morto in polvere.
E' un processo molto articolato. All'inizio si nota tra i pesci una strana inquietudine a intervalli di quarta, cui segue una calma tesa. Qualcosa di simile accade quando un cane a casa si agita ad ogni macchina che passa, quando il padrone sta per tornare. Questa sensazione di "imminenza"  è dovuta ai residui del tempo morto che vengono espulsi in righe brillanti della durata di pochi secondi. Esaurita questa fase, la rigenerazione del tempo può avvenire.
Il meccanismo è ancora ignoto, e tuttavia l'osservazione ha permesso di stabilire che quando nelle vasche si verificano delle variazioni di frequenza, a causa dell'attività cromatica dei pesci o dei proiettori, la particella N del tempo è pronta, e si manifesta nelle frequenze dei blu. I pesci sono una componente essenziale del processo,  perchè la particella N si dispone con maggiore probabilità sulle pinne e le squame, avendo una superficie liscia e argentata.
La conoscenza del fenomeno è dovuta per buona parte a PI, addetto alla pulizia delle vasche. E' stato un evento del tutto accidentale a dare l'avvio alle osservazioni sistematiche che il giovane ha condotto per anni, e che hanno prodotto una notevole massa di dati. Un giorno durante la pulizia del cristallo, PI azionò per errore il variatore di frequenza dei proiettori, causando un'improvvisa emissione di arancio 53. I pesci scomparvero in un istante negli anfratti delle rocce, lasciando deserte le vasche per moltissime ore. L'addetto alle pulizie disse di essersi sentito ad un tratto stanco, e di essere rimasto in uno stato di attesa profonda per quasi 36 ore, seduto su una sedia.
Più tardi ha raccontato che la sensazione era ancora più piacevole con il passare delle ore. Questa percezione distorta dell'attesa è stata causata dal flash di arancione 53, che ha bloccato la polverizzazione. L'addetto alle pulizie ha affermato di non essere mai stato meglio che in quelle 36 ore di vuoto, ma è scientificamente improbabile. Lo stato di beatitudine che PI ha riscontrato è dovuto alla saturazione del senso di colpa.

martedì 9 novembre 2010

Uranica




Casa Prima, Capricorno e Acquario, Marte

Ho deciso quando i due architetti S e U sono partiti lasciandomi le chiavi. E' semplice. La casa possiede alcune caratteristiche con le quali io non posso vivere. Per fortuna non tutta la casa è difficile. Il cemento armato a vista appartiene a S,  mentre le grandi vetrate a U, che preferisco. Il giardino interno di pietre,  ghiaia e una conifera contorta, è stato disegnato da S, mentre la geometria d'acqua e prato è opera di U. Niente fiori nè colori, solo grigio, verde, blu di prussia e oltremare .
Ho cominciato con i cuscini. Il soggiorno ha pareti di cemento nudo dove stanno due grandi tele di un artista islandese che dipinge crateri di vulcani. Il divano è grigio antracite, rigido, basso, seduta corta. I cuscini bordò e viola che ho messo gli danno un'aria più vivace. Ma non è il posto adatto dove restare un intero pomeriggio sprofondati a leggere. La stanza che preferisco è  a sud, davanti la piscina.
Per procedere con ordine, devo introdurre il problema più serio che ho dovuto affrontare, quello degli spigoli. Era rischioso passare rasente un corridoio, un disimpegno, o fare le scale che portano al piano superiore. I primi tempi giravo con maglioni grossissimi e calze spesse di lana, e dei cerotti in tasca. Mi graffiavo a giorni alterni. Questa caratteristica della casa era la più intollerabile,  finchè ho provveduto. Gomma piuma verde e arancione fascia gli spigoli dei corridoi e dell'atrio, mentre sui gradini ho fatto incollare bolli di gomma multicolor.
Il lato sud della casa è interamente vetro, e dà sulla piscina, una vasca lunga e stretta rivestita di lapislazzuli, incastonata in passerelle di legno grezzo scuro. Attorno un prato inglese tenuto come un quadro astratto, tanto è improbabile trovarvi una foglia secca o una piuma perduta.
Non ho mai visto il giardiniere, ma  ho sentito spesso  il ronzio lontano di un tosaerba, e l'odore di fieno che rimane nell'aria. Credo aspetti che io dorma o esca, per fare i lavori. Si occupa di tutta la casa, comprese pulizie e  provvist. Niente souvenir o peluche sul divano, o roba scaduta nella dispensa. Tutto è pulito e ordinato come per un servizio fotografico su Casa Vogue.
Il giardiniere non è un'anima fredda, come imporrebbe lo stile della casa. Al lunedì trovo sempre un vaso con fiori di campo nella mia stanza, mentre il sabato sul mio libro di lettura compare una stella alpina seccata, che scompare la domenica.
In un angolo della cucina,  c'è un mini frigo dove tiene il suo cibo, credo svedese o nordico comunque, aringa alla vaniglia, latte vitaminizzato,  biscotti allo zenzero,  crostata di mirtilli rossi e birra russa. Mi lascia perplesso il suo nutrimento,  l'aringa fa a pugni con la vaniglia, e così tutto il rest, l'unica coerenzatto è la guerra.
Stamattina mi sveglo alle otto. Un odore di fumo, non sgradevole nell'aria. Guardo dalla finestra, una bella colonna di fumo grigio si innalza dal giardino, ma la visuale non è buona. Mi vesto e scendo nella sala da pranzo che ha le vetrate interne, e lì vedo un cumulo che brucia assai allegramente im mezzo alle rocce del giardino metafisico. Un tizio guarda le fiamme, alto, magro, taglio a spazzola, divisa da giardiniere, paletta in mano, carriola a fianco piena di foglie secche. Lo vedo per la prima volta, e mi sembra inquieto nell' immobilità con cui rimane a guardare l'ultima foglia che brucia. Poi la raccolta accurata dei resti in un sacchetto della spazzatura. Guardarlo andar via con il collo diritto e teso, mi ha fatto pensare a quanto sarebbe perfetto in divisa militare. Invece fa il guardiano, restaura spigoli  in silenziosa guerra di resistenza affinchè la casa non diventi un ossario.

lunedì 8 novembre 2010

La casa solare e il visitatore







Casa Terza in Ariete, Sole

Le pantofole di seta sono all'entrata,  appoggiate ad una stuoia. Non c'è campanello, la porta d'ingresso in legno ha grandi venature che disegnano una fiamma. Il tecnico bussa.
La porta si apre e compare una figura alta in controluce, alle sue spalle  un chiarore vivido giallo arancio, i tratti del viso restano in ombra. Il tecnico si presenta, guarda il contorno scuro della persona, ha un'esitazione. Le spalle sono forti per essere femminili, ma la testa è delicata, i capelli morbidi ai lati. La persona  con un cenno gli indica le pantofole. Il tecnico  si toglie le scarpe e infila le babbucce dorate, che gli sembrano comode. La persona gli fa strada, lui segue. Dal modo di muoversi  non ha dubbi, è una donna. Si sente rassicurato. 
Pareti nude e sfumate color  albicocca,  un pavimento di legno scuro e opaco che odora di cera e sandalo. Dall'atrio si apre un salone  illuminato da una luce soffusa arancio, al centro un fuoco brilla dietro l'oblò di una stufa. Una parete  è coperta da una cascata verde di piante,  fino al pavimento. 
Una parete a vetrata dà su una terrazza, dietro un folto di alberi. Davanti, due sedie a sdraio di legno con poggiapiedi, come se ne vedono sui ponti delle navi transoceaniche. Cuscini bianchi di tela grezza. La figura e il tecnico si siedono.
"Ha portato l'Azzurro Rame?" chiede  una voce calda dal timbro molto basso.
"Sì" risponde il tecnico, sorpreso dal timbro  maschile della voce. 
"Vediamo subito." 
Il tecnico esce in terrazza ed estrae dalla borsa un contenitore quadrato nero, che posiziona a terra. Fa scattare l'innesco con un pulsante, e rientra svelto all'interno, resta in piedi. Dopo alcuni minuti dal contenitore si sprigiona un' esplosione stellare in miniatura, con  getti luminosi dalle tonalità cupe del blu fino all'azzurro brillante, con sottili strisce di verde oro. Quindici secondi,  e si spegne.
"Mi piace. Può  aumentare  la  durata e l'altezza?"
"Sì.  Quale base vuole?"
"Viola Cobalto con Malachite" 
"E' rischioso, ci vuole molto spazio intorno, o brucia tutto."
"Non è un problema, l'aspetto tra qualche giorno. Ora mi deve scusare se non l'accompagno, devo rivedere il video dell'Azzurro Rame. Arrivederci ." 
Il tecnico si alza, guarda rapido intorno,  non vede telecamere. 
Non chiede spiegazioni.  Tutto gli è appare necessario e implicito, a cominciare dalle babbucce dorate che ha indossato senza imbarazzo. 
Saluta con un cenno e si avvia all'uscita. Fuori  dalla porta, toglie le pantofole e infila le sue  scarpe. Si ferma .
Ricorda il pavimento profumato di sandalo,  la vivida luce aurorale che sembrava
 sgorgare dalle pareti,  nessuna lampada o un cavo elettrico a vista.
Ma non riesce a ricordare i tratti del viso, del padrone o padrona di casa che sia, ha una sensazione negli occhi di gioia privata, intima,  come quando si guarda da vicino una fiamma brillare.