domenica 19 giugno 2011

L'essere nell'attimo dolce e meschino




Prematurità di Corrado Premuda è un libro in cui scavare dolcemente, lasciandosi prendere dalla fragranza di uno stato intermedio tra l'acerbo e il succoso, un modo d' essere fluttuante con garbo, che affascina perchè permette di vagare e smentire contorni, definizioni. La maturità è ripiegata come un fondale dipinto per un futuro spettacolo, resta l'attimo bello largo di un divenire che non impallidisce mai.
I capitoli del libro portano il nome di una tornita famiglia di dolci, da forno o da frigo, che sollecitano piacevolmente i circuiti della nostra memoria gustativa tattile e visiva. Un impianto di sottile contrasto dato che le torte suggellano una festa, quindi un tempo che matura, raggiunge un culmine, mentre lo stato aurorale della pre-maturità abita il lungo istante che precede il compimento. Andrea Guerzoni ha illustrato ciascun capitolo interpretando i dolci titoli come creature dotate di vita nascosta, con uno stile sintetico e introspettivo che rende ai difficili soggetti un'anima mai sdolcinata e banale.
E' nel delicato senso sinestetico di legno dolce che possiamo definire Prematurità un libro “dolce”, in cui Premuda coglie essere e attimo disegnando percorsi come onde e pennacchi di chantilly, con un tocco aspro qua e là, una scrittura calibrata e fluida che sa bilanciare intreccio e velature con il piglio brillante di un vero maitre patissier.


L'avvio è sinfonico, quasi barocco nelle volute gonfie della torta granata che si innalza tondeggiante e monocroma nel capitolo uno. E' la prima delle torte “solari” che insieme alla torta al limone e alla stella glassata, costituiscono il primo movimento di un'energia ricca e sovrabbondante. In questo trio dolce dall'estetica pastosa e gioviale appare evidente la virtù del dessert, il donare, non perchè un dessert sia “buono”, ma perchè dona tutto di sé per sua natura intrinseca, come il sole che irradia.
Al quarto capitolo entra in scena la prima figura di antagonista, il budino bianco senza zucchero ai frutti di bosco, che apre il contrappunto delle torte “meschine”, la serie senza zucchero che rappresenta il pensiero devitalizzato della rinuncia. Un dessert che simula il “dolce” con il “dolcificante” o con il solo gusto dolce acidulo della frutta, crea un inquieto slittamento di senso che corrompe la virtù del donare in cattiva disposizione (Gilles Deleuze, La meschinità del dessert e altri saggi),
Con gusto della sintassi sensoriale, Premuda inserisce tra la stella glassata e la torta alveare, il budino bianco, breve e basso, incapace di quell'adesione radiale aperta che la forma “stella” e la forma “alveare” hanno per lo stato gioioso dell'essere. Il lettore pensa subito a una contrapposizione netta, da una parte il dolce schietto e aperto che dona, dall'altra il dietetico in odor di sacrificio e di risentimento. Ma è solo l'inizio, e non ci sono milady o d'artagnan nascosti nei bignè.
Un profumo esoterico accompagna i tre capitoli successivi che spostano la dolce dicotomia su un piano alchemico. Il miele (torta alveare), la ri-cotta (torta omonima), la sfoglia (millefoglie di frutta) sono le trasmutazioni dell'energia “dolce, che ci dimostra come la virtù del dessert solare, il dono di sé, sia duttile, mai cristallizzata, pieghevole, ricca di stati e sfumature.
Contro questa esuberanza il ciambellone alle mele senza zucchero ostenta la modestia affettata della ricetta “povera”. La nota cupa e rabbiosa è riconducibile alla privazione del saccarosio, e nasconde una inaudita violenza pronta ad esplodere contro.
Sull'altro versante la radiosità vi risulta noiosetta ? Corrado Premuda non ci offre una risposta semplice. L' oro risplende perchè non può fare altrimenti, così la torta impero e la blasonata Saint Honorè, puro sfarzo condensato, non possono che giocare a far scoobidoo con la gelatina d'arancia e la mirabile dorata piramide (frutta e bignè) così il tedio è sconfitto brillantemente.
Per bilanciare tanto luccichio, l'ombra meschina si adegua. La millefoglie al caffè prova la via del mimetismo copiando (senza riuscirvi a causa del grigio senza zucchero) la brillanza della crema nelle torte “solari”, ma così facendo accorcia lo scarto dalle torte lucenti, e questo ci sembra un bel momento di illuminazione.
Nell'universo di Prematurità non esistono bene e male che si contrappongono, ma un flusso di energie, basse o alte, zuccherate e non, che si intrecciano come i danzatori di una giga.


Il satori è raggiunto quando l'allegra torta di riso alle pesche suggerisce (in modo implicito) di ridere di se stessi, una saggezza che arriva finalmente come un grosso verme di crema pasticcera in caduta libera. E non importa se insistono i cubetti di ricotta, senza zucchero, serrati come dei piccoli “No” ripetuti a raffica.
Chi vince? chi perde? Il finale è sorprendente perchè l'autore pur arrivando ad alcune certezze, ci consegna un capitolo finale senza titolo e senza torta , vero enigma che lasciamo alla curiosità del lettore.
Ma prima le certezze: la torta Paradiso sposa la torta Foresta Nera, affermando così la coincidenza tra cielo e terra. L'ultima voce non zuccherata, la torta di mele ci invita a guardare dove le cose sono piccole, esigue come un impasto di farina, latte e mele. L'infinitamente piccolo ci viene suggerito proprio dall'avversario, che avversario abbiamo visto non è, ma sta in campo dall'altra parte della rete per comodità.
Scendiamo qui dall'universo premudiano che ci ha raccontato come terra e cielo, abisso e altezza, dolce e meschino abitano nella stessa cucina. E a noi piace molto così.