mercoledì 30 marzo 2011

6. Dove Claire cade


da qui

Cara Gigliola,

ho comprato la divisa, l'ho indossata, e ho iniziato il lavoro. Non penso, pulisco, mi piego, vado negli angoli, sollevo i tappeti, gratto le piastrelle. Ci sono dei libri che spolvero, e non resisto, qualche volta li apro. So che non dovrei farlo, mi metto sul letto e leggo. Lui non c'è, torna tardi quando ormai ho finito. Non so bene neanche che lavoro faccia, ma mi paga sempre con regolarità. Se per caso rientra prima, si mette sul divano, mi osserva, non dice niente. E' cortese, distaccato. Alto e asciutto, una faccia comune, capelli di media lunghezza, riservato. Molti libri in giro per la casa. Veste sportivo, calzini corti, scarponi grigi. Forse la mia divisa lo mette a disagio, o anche no. Non penso. Preferisco non incontrarlo, se è accaduto è perchè mi sono attardata su qualche libro, e non mi sono accorta dell'ora. Vado via prima che arrivi. Quando parli di umiliazione, del piacere ad essere umiliata nella mia ipotetica intelligenza, mi immagino una scena da circo. Il grande numero dell'umiliazione senza rete, con brivido "cadrà o non cadrà?", e musica di violini che tremano. Pulire per me è un lavoro psicanalitico, un gorgo a dir il vero, perchè lo sporco non finisce mai, si inabissa nei posti più bui e dimenticati, ritorna senza tregua. L'umiliazione è un semplice avvio, dopo non sento niente, voglio soltanto andare sempre più in basso, portata da una forza a me estranea, fuori dal controllo. Sono certa che anche tu, quando fai i tuoi giri da Bernardini, al Corso,  l'aperitivo delle sette,  hai una leggera vertigine che ti porta sempre più in là di dove vorresti andare. Hai un talento, Gigliola, che forse non metti a frutto ancora. Adesso sono stanca. Vado a dormire.

L'uomo con gli occhiali





L'uomo con gli occhiali aveva camminato mezz'ora sulla spiaggia prima di sedersi e togliersi il giubbotto. Da una tasca aveva tirato fuori una lattina di birra Child, con  un puttino grasso e dorato, e la scritta blu e oro intrecciata di svolazzi. Dall'altra  il mazzo di carte che aveva comprato in un bazar davanti la stazione,  una scatoletta rossa con una scritta nera Piccoli Arcani. Se ne infischiava di tarocchi e simili, ma gli era piaciuta la scatola.
Prese le carte e si guardò attorno un momento, nessuno a quell'ora di mezza mattina. Aveva ripiegato con cura il giubbotto. 
Non si sentiva a posto. Una cosa zitta zitta covava facendogli sentire non rimorso, ma una punta, anzi meno di una punta, di disagio. Chissà lei come l'aveva presa a vedersi segata dagli amici di fb.  Avrebbe voluto sapere.
Pescò dal mazzo tre carte, le dispose rovesciate davanti a sè, le girò. "Gru nella Tempesta", "Panda Equilibrista", "Uovo Conchiglia" Non capiva un bel niente di Piccoli o Medi Arcani,  ma così,  a intuito, gli dicevano che si era legato al palo a stare su fb. Dietro lo schermo,  protetto,  a fare pubblica, mi piace,  commenta,  sferzante sempre, un bel contropelo a chi capitava. A tutti. Anche a lei.
E le foto che aveva messo nell'album di fb, come quella dove aveva le patatine fritte infilate nel naso. Aveva spirito, assolutamente. Virtuale, non tanto.
Si era ritrovato a fare un circo e  tutto per colpa di quella che in alcun modo poteva dire " amica". Le carte erano sincere.  Di mangiare foglie di bambù era stufo, ma quando uno è panda, panda gli tocca fare fino in fondo. Chiudere le valve, e amen.
Aprì la birra Child. Il puttino grasso con l'oro lustro addosso sorrideva. Tirò un sorso e ancora un altro. Un leggero gusto di affumicato, ben alcolica. 
Fece scivolare ancora tre carte da sopra il mazzo,  mettendo una seconda fila. Le girò: "Sirena al Contrario", "Divaricatore Radiografo" e "Pettine Annodato". Era lampante, non c'era dubbio, le carte non mentivano. Lo aveva costretto ad agire in modo chirurgico. Quell' amica di facebook che quieta quieta era uscita dal guscio di uno sbiadito ricordo. Il puttino grasso sorrideva in mezzo all'oro e agli svolazzi, l'arco abbassato, la freccia assente. Sete e birra.
Un messaggio alla chetichella, con tanti baci e addio, e subito dopo aveva cliccato lei e  Rimuovi dagli amici. Le compagne di banco sono un pericolo, per un po' ti diverti, dopo meno,  specie se nel passato  un pensierino l'avevi avuto, sulla compagna di banco da stendere sul prato. Ma non l'avevi consumato il pensierino. E una volta ritrovati Oh! Ciao! dai Raccontami della tua vita. Lo schermo protegge, si sa, e a poco a poco il tono confidenziale era scivolato giù,  un pezzo alla volta, come uno spogliarello, mostrando tutta una nudità nuda. L'aveva inseguita tra le parole di un messaggio inviato e un commento sulla bacheca. Scopriti ancora un po'. Qui.  Un sorso di birra Child. Per gioco era stato insinuante.
“Come l'aveva presa,  lei?” domandò alle carte, tre ne tirò fuori, coperte, terza fila. Girò con cautela, forse era una domanda da non fare. La curiosità pungeva. "Torre di Babele Finita", "Collare Intoccabile del Lupo", "Bottiglia Carota". Bene, benissimo. La pupa, rimossa dagli amici,  era rimasta confusa con l'amaro stretto al collo.  Non l'avrebbe rivista mai più tra i suoi post. Ebbe una punta di brivido, anzi meno di una punta,  a pensare "mai più".
Ancora un sorso di birra Child. Il puttino grasso sorrideva mesto con l'arco all'ingiù e una pipì dorata che zampillava tra le cosce. Birra affumicata. Raccolse le carte e le rimise nella scatoletta rossa con il coperchio, ben chiuse.



martedì 29 marzo 2011

Il confine (seconda puntata)




Quando si fu addormentata il fotografo rientrò.
La osservò a lungo esile e nera sul divano bianco, coi piedi giù per non sporcare e le mani giunte sotto la guancia.
Il cioccolatino aveva fatto effetto più presto del previsto, c'era da lavorare ancora un po' sulle dosi...
Indossò dei guanti di lattice nero e la esaminò esternamente come un medico legale aiutandosi a momenti con una bacchetta da sushi anch'essa nera.
Cominciò dall'alto cercando tra i capelli. Poi nelle orecchie. Sollevò le palpebre e guardò dentro. Con la bacchetta scostò le labbra e perlustrò i denti e l'interno della bocca. Passò poi alle mani, le annusò, le assaggiò, controllò sotto le unghie. La stessa cosa fece con i piedi. Infine la spogliò delicatamente tastando la sua consistenza. Nulla sembrava cambiato da quando l'aveva fotografata poche ore prima.
Deluso la rivestì. Presto il cioccolatino avrebbe cessato il suo effetto.
Il primo esperimento non aveva fruttato alcun indizio. Nulla nella parte corporea di lei lasciava intendere cosa potesse aver visto nell'inquadratura della macchina fotografica quando l'aveva lasciata sola.
Eppure sicuramente qualcosa aveva visto.
Il confine andava spostato di un po'. C'era tutto il tempo.
La ragazza si mosse impercettibilmente, era ora di tornare di là.

sabato 26 marzo 2011

Storia del morbido e dell'ossuto




Sono bianco azzurro, più bianco comunque. Sto bene sulla neve e sulla brina, mentre il fango e il verde erba mi sono del tutto estranei. Non posso mettermi su queste superfici, è una questione semplice e geografica. La descrizione del luogo è importante se si vuol stare in pace, per questo la geografia è molto utile. Invece l' opinione comune ritiene sia meglio  modellare se stessi come un pezzo di burro per sopravvivere.
Io non mi adatto. Stare nell'erba è impossibile per me, non riesco a concepire il verde, colore della speranza, dicono, oh sì l'erba e le foglie, i teneri virgulti degli asparagi e del grano, l'odore dei prati, i pascoli.
A me piace stare in un angolo color sabbia senza sfumature né ombre né fili che si piegano alla brezza. Così era la terra prima che fosse ricoperta dal manto multicolore di piante. Preferisco il mondo delle rocce e dei sedimenti non perchè abbia una particolare affinità, ma semplicemente perchè esiste da molto tempo prima.
E' vero io sono morbido e pulso, ho zampe e appartengo alla categoria animale. Ma davanti alla silenziosa grandezza della pura mineralità resto abbagliato. Mi nutre. Mai assaggiato la sabbia sulla riva di un torrente ? Ha un gusto di roccia e acqua, di un mondo vuoto di cuori che pompano. Non verde non rosso, nessun dolore solo cristalli.
A differenza delle creature come me che si deteriorano e perdono se stesse in un soffio di tempo,  i minerali attraversano ere geologiche per piegarsi e cuocersi sotto la pressione di strati colossali di materia e arrivare alla metamorfosi. Per questo li ammiro.  Il mio destino è ridurmi a poltiglia in un nulla di tempo. Il mio osso invece resterà  calcio, magnesio, fosforo.  Sono assolutamente convinto, il minerale appartiene ad un ordine superiore, non sei d'accordo?
Già, non rispondi. E' naturale, un teschio è silenzioso, come il carbonato di calcio  di un picco dolomitico. Eppure quella tua espressione tutta denti potrebbe essere scambiata per un sorriso. O forse un ghigno per me. Vorrei farti notare, tuttavia, che qualcosa abbiamo in comune,  uno di qua  e uno di là,  sfondo sabbia.
Non offenderti, non intendevo dire che siamo pari. Uno morbido e caldo come me è lontanissimo dalla tua perfezione, icastica, finale. E tuttavia non sopporterei di essere rappresentato con un altro mammifero. Sono ridicolo dici?   Ad amare sassi e rocce e ossa quando dovrei annegare nella paura e nell'istinto mentre aspetto che qualcuno mi si avvicini per offrirmi  morte o copula.
Se la sento ? No. La punta è probabilmente di carbonio. Non punge. Non dà fastidio, anzi mi acquieta.
Due per me e due per te, conficcate con leggerezza di piuma. Ti fanno diverso, hai un che di metafisico.  Con queste punte che mi bucano non appaio più tanto morbido, come se la purezza della punta mi facesse diventare una materia arcaica, non verde né rossa.
Ecco, un assoluto hai ragione. Una freccia nel mio corpo pulsante, senza che esca il sangue mi ferma nel dubbio. Che si tratti di un prodigio non so, ma vedermi così trafitto senza morte o dolore, mi fa cristallino. Non credi anche tu?



giovedì 24 marzo 2011

Interferenze

Luna opposta a Nettuno

- Lo senti ora?
- Si, si lo sento, ma a che mi serve? E' lontano, irraggiungibile. Non posso farci niente. Sono impotente. Ricevo, ricevo. Mi fa male la testa.
- Allontanati dal dolore, respira con tutto il corpo, respira con tutti gli altri corpi, li senti?
- No. Sento solo che mi si sta spezzando il cuore. Smettila. Voglio dormire.
- Li sognerai e se non impari a respirarci assieme, continueranno a farti del male. Soffrirai assieme a loro, gioirai di qualcosa che non ti appartiene in quel modo. Canterai canzoni allegre nelle serate intrise della tua malinconia.
- Smettila! A me basta sentire quelli a me vicino. E' sufficiente. So che sono loro e posso aiutarli
- Non è compito tuo aiutarli. Non ha senso che tu ti rinchiuda nel tuo guscio, troppo facile cara mia! Devi sentirli tutti e distaccartene. Dammi la mano.
- Non vedo mani qui. Sento solo un gran rumore nella testa e il cuore in petto che batte di paura.
- Ahahahahahah! che carina! Ha paura Lei. Non si può parlare con te oggi. Vai a farti un paio di giri di danza va! Ne riparliamo.
Selene si era alzata incazzata nera quel giorno. Andò alla Caverna col fiatone. Aveva bisogno di ballare. Non sapeva bene perché. Era il suo corpo a spingerla. La sua mente era confusa e agitata. Ecco il tamburo, il flauto. C'era festa in giardino. Iniziò a danzare, sempre più veloce, girava e il vento si sprigionava dai suoi vortici. Le persone attorno a lei si moltiplicavano come in un gioco di specchi. Erano sempre di più. Erano gli avventori, gli abitanti, gli uomini, i pianeti. Giravano tutti in un caleidoscopio di colori e di forme. Sentì il cuore in petto grande come un universo intero. Pianse di gioia e lentamente sempre più piano, si fermò; salda al terreno. Come un fiume nel suo letto scorreva il respiro nel suo corpo. Prendendo fiato sorrise. Si addormentò. E lo sognò di nuovo. Non era mai uguale. Ma era lui. Le parlava come se si fosse sistemato dentro di lei. La voce parlava dentro la sua bocca semiaperta nel sonno. Un pizzicorino appena. Poi la sentiva sussurarle nell'orecchio:
Lo vedi bene che ce la fai. Basta attraversarlo. Lo senti bene che il dolore non è quello che ti attanagliava prima.
Felice, su quelle ultime sue note, Selene si lasciò andare al sonno profondo accovacciata nel frattempo sotto l'ombra dell' ulivo.
Dormi dormi piccolina canticchiava tra sé e sé. Gli piaceva ogni tanto fare il buon padre. Rise. Il giorno dopo le avrebbe dato il Bu! Buongiorno nel palmeto. Non gli avrebbe resistito. Non all'inizio. Ci sarebbe caduta come una polla. Si sciolse i capelli e si levò la maglia.


lunedì 21 marzo 2011

La numero 3


Antonio è un amico, che combinazione ritrovarlo qui dopo tanto tempo. Non è cambiato. Lo credo bene, non si è mai sposato. E ha preferito lasciar perdere anche la carriera e i sogni di gloria lavorando quel tanto che basta, sotto i pini, in estate... Come dargli torto... D'accordo vive in un monolocale, si sposta in scooter e non ha titoli da anteporre al cognome, ma nessun cappio al collo e tanta, tanta... ... scelta.
Eravamo appena arrivati, mia moglie va a rinfrescarsi dopo il viaggio, lui mi mette in mano la chiave e mi dice: "Fanne buon uso." Strizzatina d' occhio, buffetto tra le gambe.
E così è cominciato tutto.
...
Sono le 10. Mi guardo intorno.
Eccoti. Bianca, bianca, abbagliante, castigata nel costumino intero ma con le unghie laccate... non la racconti giusta, l'ho capito subito.
Sono due giorni che ti studio.
Stai molto attenta a non bruciarti, scegli la penombra, ti nascondi dietro a un libro o ai tuoi occhiali anni '50, ma poi anche tu sei costretta ad alzarti, perché fa tanto caldo, hai bisogno di acqua, gelida, addosso.
Ti muovi lenta mentre ti guardo.
Sotto la doccia non ti scomponi, poi torni e prima di stenderti di nuovo non resisti e controlli.
Oggi ho un libro anche io per rassicurarti e renderti più audace.
Infatti butti l'occhio mentre assorto, mi gratto.
Mia moglie non ha pace, vuole ombra. L'aiuto a spostarsi. Si mette a un metro da te.
Poco dopo vuole andare in acqua. Declino. Tu assisti.
Esce e va a cambiarsi. E' il momento. Mi sposto all' ombra anch'io, metto la mia brandina accanto alla tua.
Ora hai paura, lo avverto. Ti guardo dritta negli occhi per capire se ti piace. Resti immobile, senza fiato, ma non ti sottrai. E' fatta.
Ti lascio il biglietto e non ti considero più. Avrai bisogno di un po' di tempo per districarti nel groviglio ipocrita in cui evidentemente sguazzi.
Mangio un panino con mia moglie dandoti le spalle. Il prosciutto è buono. Recito la mia parte alla perfezione, con lei, con te, come ho fatto tutte le volte, con tutte.
Dopo pranzo mia moglie perde i sensi come un neonato, io invece preferisco il caffè e muovermi un po'...
Ti ho lasciato venti minuti per decidere, mi alzo e mi dirigo verso il bar. Per il momento niente caffè, forse più tardi, per dare un supporto olfattivo al mio alibi, tiro dritto fino ai bungalow, fino all'ultimo, prendo la chiave di Antonio da sopra lo stipite, la infilo nella toppa ed entro.
Caldo, penombra, odore di legno. Mi siedo e aspetto. Penso a mia moglie che dorme. La maniglia si abbassa. Eccoti, abbagliante. Hai fatto presto.
...
Per voi è diverso, arrivate vibranti e cariche come molle. Vi brillano gli occhi, vi trema il respiro, il cuore vi batte fin troppo forte... forse perché vi piace sentirvi sporche, sbagliate o vittime... agire nascoste, affidarsi all'ignoto, rischiare fisicamente... potrebbe succedervi qualunque cosa eppure attraversate l'ombra, abbassate la maniglia ed entrate.
Io non ho tutto questo dentro di me. L'ho cercato per un po' ma non l'ho mai trovato. Ve l'ho invidiato. Poi ho capito che l'unico modo per averlo era prendervelo.
Così vi aspetto, una dopo l'altra, nell'ultimo bungalow e mi cibo di voi, mi prendo ciò che voi riuscite a produrre autonomamente e in abbondanza e che per me invece resta un mistero.
Non ricordo i dettagli, dopo, non provo rimpianto o nostalgia, non mi affeziono.
Non ci si affeziona al proprio pasto, si mangia, si digerisce, si trae l'energia necessaria a procurarsene un altro, si espelle.
...
Il caffè di Antonio fa veramente schifo. Ma tant'è.


venerdì 4 marzo 2011

Il confine





Nettuno Luna in quadrato

La ragazza suona il campanello dello studio con dieci minuti di ritardo. 
Il fotografo apre e l' accompagna nello studio, una grande stanza semivuota, uno sgabello, fondale bianco in tessuto. Le spiega che il set ha una durata di due settimane, e riguarda alcuni esperimenti sulle lenti e la messa a fuoco. Le chiede di spogliarsi e sedersi. Non ha bisogno di assumere pose.
La ragazza si toglie il vestito nero, le scarpe, le calze, la biancheria, appoggia ogni cosa sul divano bianco. Curve morbide, pelle chiara e capelli scuri corti. Si siede sullo sgabello, con le mani appoggiate in grembo.
Il fotografo si mette dietro la macchina e comincia a scattare. La ragazza ascolta il cliccare della macchina fotografica come il dondolio di una culla.
Il ronzio degli scatti finisce, il fotografo le chiede di non andarsene e esce da una porta laterale. La ragazza sente freddo e si riveste. 
Accanto al divano bianco,  un tavolino con un vassoio di cristallo pieno di cioccolatini dalla carta argentata. Ne prende uno e lo annusa, ma lo rimette a posto. Teme di annoiarsi per due settimane.
Si avvicina alla macchina fotografica che sta dritta sul cavalletto,  guarda dentro l'oculare. Nell'inquadratura in basso qualcosa di rosso e sfuocato ondeggia in un battere di ciglia quasi all'unisono. La ragazza gira la ghiera della messa a fuoco.  Nell'oculare l'immagine diventa nitida,  al bordo inferiore mostra una fila di fragole rosse che salutano verso di lei, come turisti da una corriera. 

Di scatto la ragazza si  allontana  dal corpo nero della macchina fotografica.  
Si stende sul divano bianco,  scarta un cioccolatino e guarda verso la porta laterale.


seconda puntata


S' CIOCA



S'cioca el mar sui scoi

S'cioca la bira là de voi

S'cioca el cuor co’ riva l’amor.


S'cioca el leto co’ semo su noi

S'cioca la testa se te pensi col poi

S'cioca el dolor se xe anche l’amor.


Se la testa col poi pensa

No xe amor ma indolensa


S'cioca la bora

Pasando tra i scuri.

S'cioca la rabia,

Pasando tra i duri.

S'cioca la vita

Che xe una storia infinita


TABU' IMPAZIENTE



A IPAZIA

A


Pia Ipazia, paziente anima
meta pe' menti attente
nei tempi mezzati e mazzati
mette mente ampia in temi pieni
E' pane pe' Me, pe' Te, pe' Ei
Ampiezza mena,
teme niente ma,
Anatema!
Mette piè nei Enti:
Empie menti amanti niente:
Anatema!
A pezzi!
Attenta Ipazia!
A pezzi!A pezzi! Pezzi.
Pezzi.
Zeta




Empie menti;
Mentine nazi mai pentite nei
tempi.
Nei tempi, nei tempi,
Nei ampi tempi.
Pazza Età:
Pizza, P.M e Nizza.
Mentine empie, pe' Patemi,
Metten Anatemi e ammazzan etnie -
Menti pazze amanti niente
Ai pié né meta né mezzi né temi
ma Pizza P.M, Nizza e Patemi!

Z


martedì 1 marzo 2011

5. Del servire

il precedente


Cara Gigliola,
ho trovato. Una sera, anzi non una sera qualsiasi, ma l'ultima volta che sono uscita dallo studio della dottoressa Otile, mi sono fermata in un bar dove non ero mai stata prima. Un posto squallido, dove c'erano solo alcuni uomini che bevevano. Ho preso un calvados doppio e riempito pagine del mio quaderno, scaricando tutta quell'immondizia psichica che avevo respirato nelle ore passate dietro la scrivania. Ma forse stavolta c'era qualcosa di eccessivo di cui non sono riuscita a liberarmi. Quando mi sono alzata per andarmene, sono caduta a terra svenuta. Un tale mi ha soccorso, gentile. Mi ha riaccompagnato a casa. Per strada gli ho raccontato che ero senza lavoro. Mi ha chiesto il numero di cellulare perchè forse poteva aiutarmi. Ha chiamato dopo qualche giorno, e mi ha chiesto di occuparmi della sua casa.
Ho accettato. Mi piace pulire il caos altrui, fare ordine e chiarezza nelle cucine e nei bagni di altri. Tu dirai che non è degno di me, della mia lunga esperienza come segretaria di un' affermata psicanalista. Io credo invece che piegarsi su un pavimento e togliere lo sporco sia esattamente quello che faceva la dottoressa con i suoi pazienti. In più sento il bisogno di annullarmi, ad esempio in una divisa, con crestina bianca inamidata, grembiule candido, guanti di gomma, gonna nera. E di stare giù. Abbassarmi, cercare la parte sporca che soltanto nel servire posso trovare. Sono stanca, ho guardato per tanto tempo il cuore nero dell'umano in un elegante e raffinato studio come comparsa, addetta alle luci, sarta di scena. Sento di aver preso su di me una sorta di radiazione, che ha prodotto un danno. Non so ancora quale. Sto bene, non preoccuparti per me. Tua Claire

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